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Intervista

“Bravi Ragazzi”: dentro il mondo di Gianni Bismark

Bravi ragazzi - Gianni Bismark

Per approcciarmi all’incontro con Gianni Bismark mi ero dato una regola semplice: evitare di presentarlo come il “rapper romano cresciuto tra rap e stornelli”. Evitare cioè di circoscrivere il suo talento a quest’apparente dicotomia. Me ne sarei stato alla larga anche da descrizioni affini, come “scrittore sui generis” o “scrittore atipico”, perché mi sembrava di racchiudere il suo talento nella gabbia di definizioni posticce e dal sapore vagamente acchiappaclick. Credevo, in sostanza, di fargli un torto. Immaginavo che anche lui fosse stanco di riflettersi in quest’immagine da esemplare di razza protetta, la cui musica è inevitabilmente legata ad una esclusiva provenienza e cultura geografica. Poi, chiacchierando con lui per quest’intervista, ho capito che il mio piccolo vademecum andava stracciato.

A rafforzare le mie idee vi era anche il fatto che Gianni Bismark di poter giocare in Nazionale, lo aveva già ampiamente dimostrato. Lo aveva fato con il suo precedente disco, Nati Diversi, datato marzo 2020. Eppure nel fiume di parole che mi ha concesso tornava continuamente il fortissimo senso di appartenenza verso la città di Roma. Un’appartenenza sociale, culturale e musicale fortissima. Gianni Bismark, all’anagrafe Tiziano Menghi, ha la singolare capacità di raccontare la Città Eterna da un punto di vista unico, attraverso un’emotività verace e una forte vena autobiografica. Il suo è un rap fatto di valori antichi, tradizionalisti nell’accezione più positiva del termine, che l’artista romano stesso rivendica in prima persona, omaggiando ripetutamente il grande cantautorato romano. 

Bravi ragazzi - Gianni Bismark

Bravi Ragazzi punta dritto al cuore

Bravi Ragazzi, quarto album in studio, sancisce però un’evoluzione ulteriore. Rilasciato oggi, venerdì 25 marzo per Virgin Records/Universal Music Italia, il disco muta, senza snaturare, la proposta musicale del rapper romano, arricchito da collaborazioni genuine, nate dal rispetto reciproco tra artisti: da Franco126 a Ketama, passando per Gemitaiz e Speranza, fino a Jake La Furia e Kvneki del duo Psicologi. Bravi ragazzi non è un progetto musicale che si incentra in primo luogo su tecnicismi ricercati o metriche particolari: è un disco dallo stile diretto, crudo, senza filtri patinati, che non solo racconta le vite, non sempre “ortodosse”, dei bravi ragazzi, attribuendogli una dignità di cui troppo spesso ci si dimentica, ma che vuole rappresentare un’istantanea di una generazione intera, cresciuta in storie come queste. È un disco grezzo nell’accezione più positiva del termine, come la vita che Gianni ha vissuto per arrivare fin qui, come gli amici e i vicoli con cui è cresciuto e che continua a portare entrambi orgogliosamente nella sua musica. Un disco capace di arrivare in maniera diretta all’ascoltatore. Contemporaneamente un disco che rafforza la poliedricità dell’artista, aprendo a sfumature musicali inedite, attraverso passaggi più melodici e pop, che danno origine a ritornelli potenti e incisivi.

La solidarietà e l’affetto puro e genuino verso gli amici di sempre, la possibilità di sbagliare e riconoscere i propri errori, un’insaziabile fame di libertà rimanendo sempre se stessi, nonostante intorno cambi tutto. Con la profondità e la schiettezza che da sempre contraddistinguono i suoi brani, Gianni ci ha parlato del senso dello scrivere a Roma, dei miti con cui è cresciuto e della propria evoluzione artistica che lo ha portato alla scrittura di Bravi Ragazzi.

Vorrei iniziare dal luogo dove la tua musica nasce: il quartiere della Garbatella.

La Garbatella è un luogo culturalmente molto ricco. Sin da quando ho iniziato a fare musica ho avuto tantissima gente della zona vicino, che mi ha sempre accolto, protetto e supportato: per me è stato naturale fare crescere la mia musica qui, ci siamo come evoluti assieme. Pensa che pure ora che mi sono trasferito rispetto a dove abitavo da ragazzino mi sono comunque mantenuto volutamente qui in zona, a meno di cinque minuti di distanza. L’appartenenza culturale che mi lega a questo luogo dà forza alla mia stessa musica. Bravi Ragazzi nasce proprio tra queste strade.

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Che rapporto hai invece con la città di Roma? L’hai sempre raccontata tanto nelle tue canzoni, spesso narrandola come vista da occhi esterni, pur facendone parte. In maniera tanto realistica quanto – a tratti – fiabesca. 

Be’, con Roma ho un rapporto veramente magico. Ogni volta che mi penso lontano da lei, la mia vena artistica ne risente, quasi si blocca. Io personalmente ho questo modo di scrittura molto narrativo che parte sempre da situazioni reali, che riguardano me e quello che ho intorno: se attorno non avessi Roma credo proprio che la mia scrittura sarebbe molto più inefficace e spenta. Fare musica qui per me è al tempo stesso un onore e una responsabilità che chi non ci vive fatica a comprendere.

Gianni Bismark Bravi Ragazzi

Parliamo del disco. Bravi Ragazzi conferma la tua capacità di essere un artista poliedrico, capace di affrontare beat, stili e mood molto diversi fra loro e di saper reggere il confronto e dividere la traccia con artisti di ogni caratura. Rispetto ai lavori precedenti appare evidente la presenza di brani più cantati e in generale di sfumature musicali differenti fra di loro: da dove nasce questa evoluzione?

Indubbiamente si tratta di un’evoluzione che potrebbe far arrivare il disco ad un pubblico più ampio, magari anche a gente un po’ più grande. Io ci spero, però non è quello il mio obiettivo primario. Personalmente non mi sono mai dato alcun traguardo di numeri o ascolti: io faccio da sempre musica per me, come sfogo e resto ancora ancorato a quando mi ascoltavano 100 persone tutte della zona mia. Il mio metodo di scrittura è rimasto lo stesso. L’evoluzione c’è perché come artista c’era la volontà di evolversi, su basi e suoni nuovi, sfruttando maggiormente la mia voce anche sul cantato. Non me lo sono imposto, è venuto naturale e sono molto soddisfatto del lavoro che è stato fatto.

Il disco è stato scritto praticamente tutto in questi due anni di pandemia che ancora ci portiamo dietro e che, soprattutto al mondo dello spettacolo, ha purtroppo tolto tanto. Come hai vissuto tutto questo?

L’ho vissuta molto male, sono sincero: nella mia musica parlo di emozioni e situazioni di vita vera, di vita vissuta, e stando chiusi in casa tutto sfumava. Mi ricordo bene infatti che soprattutto durante il primo lockdown ho scritto veramente poco e sempre alla leggera, senza dargli troppa importanza. Man mano che le restrizioni si sono allentate, sono andato alla ricerca delle più disperate emozioni e circostanze, passando più tempo possibile fuori di casa. Bravi ragazzi anche per questi motivi è nato piano piano: io appena consegnai Nati diversi già iniziai a scrivere qualcosa che c’è in questo disco, ma la sua genesi ha occupato più di due anni.

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Mi è capitato, mentre ascoltavo il disco, di andarmi a rileggere alcuni commenti sotto i tuoi video, soprattutto su YouTube. Si evince chiaramente lo strettissimo rapporto che hai con il tuo pubblico, tantissimi fan empatizzano con le tue canzoni, in maniera sincera e profonda. Come vivi questo rapporto e come si è evoluto nel tempo? 

Sono estremamente felice del rapporto che ho con il mio pubblico. Credo che tutta questa empatia e affetto che ricevo, anche in molti messaggi privati, sia dovuto al fatto che tanti ragazzi che mi ascoltano si rivedono in quello che scrivo. Alla fine io non sono né un criminale né un santarello, quindi le cose che ho fatto io più o meno possono essere cose che hanno fatto anche tanti altri. Questo è anche un po’ il concept dell’intero disco. Quando scrivo qualcosa di personale, so che c’è la possibilità che vada a toccare situazioni di vita anche di altre persone, che magari possono interpretare e vivere alla loro maniera, partendo però da una base in comune. 

Le tracce più sperimentali del disco per me sono due: Parole al vento, che ad un beat quasi reggaeton unisce un testo concious arricchito dalla collaborazione di Speranza, e Sono anni che ti cerco, che ha mille sfumature musicali e gode di un’apertura vocale preziosa, forse più che in ogni tuo altro brano.

Hai ragione su entrambe. Come qualsiasi pezzo che scrivo sono nate in maniera molto naturale. Ci tengo infatti a specificare questa cosa un attimo. Odio personalmente quando mi classificano come un artista rap, indi, urban o trap: io faccio musica, punto. Mi lascio ispirare sempre dalle basi, quindi se c’è un sound più trap come in Miti sbagliati esce un pezzo del genere, se però mi viene proposta una base che apre ad altri suoni e che a me comunque da ispirazione, sono il primo a buttarmici a capofitto. Non escludo nessun suono a priori. 

Visto che l’hai citata mi ci aggancio. Nella terza traccia del disco rappi: “Cresciuti con miti sbagliati accanto con cui misurarsi” Quali sono i miti con cui sei cresciuto?

Sì qui faccio un riferimento generale in realtà, non specifico. Sai, quando sei un ragazzino è facile che tu sia attratto da determinate figure, da personaggi che vivono un altro mondo. Noi siamo sempre stati attratti più che da quelle persone da quell’idea di mondo che emanavano e che magari poi noi rivedevamo nei film, associandolo a situazioni di vita vera. Man mano che siamo cresciuti però il pensiero che mi si è andato a rafforzare è stato opposto: meno male che non sono diventato come loro!

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All’interno del disco si trovano artisti con cui avevi già avuto modo di collaborare in passato – Franco126, Ketama -, ed altri, del tutto inediti. Volevo soffermarmi in particolare sui featuring con Gemitaiz e Jake La Furia, due artisti che si sono affermati nel panorama nazionale oramai da decenni: come è stato collaborare con loro? Hai sentito un certo gap generazionale, inteso non per forza in maniera negativa? 

Gemitaiz le conosco da diverso tempo, ci becchiamo spesso anche alle serate e la collaborazione è venuta molto spontaneamente. Con Jake invece non ci eravamo mai visti di persona, però ci apprezzavamo a vicenda e ci scambiavamo feedback sui lavori passati da diverso tempo. Come ci tengo a sottolineare sempre le mie collaborazioni, anche quelle dei dischi precedenti, nascono sempre dal rapporto umano che ho con l’altra persona: amicizia, stima e rispetto reciproco. Non c’è nulla di commerciale o strategico. Sembrerà strano ma, rispetto alla tua domanda, ci siamo scoperti molto simili nel modo di lavorare, sopratutto quando si tratta di musica. Sono state due collaborazioni di cui vado fiero veramente, due leggende del rap per me che ho potuto ospitare nel mio disco.

Come ti sei comportato invece nella scelta delle produzioni?

Ci sono tanti produttori nel disco, molto diversi anche fra di loro. La cosa è stata un po’ ricercata appositamente appunto per avere influenze diverse da cui attingere ispirazioni altrettanto diverse. Con i 2ndroof ad esempio siamo molto amici e collaboriamo da un po’, avevano firmato un paio di tracce anche in Nati Diversi. Un grande aiuto per questo disco l’ho ricevuto poi dagli Enemies, il duo formato da Joshi e Manusso, senza i quali il disco non sarebbe uscito così figo. Poi ce stanno il Drone e Nino Brown con cui siamo amici storici e con cui è stato naturale collaborare. Stesso discorso per G. Ferrari che ha firmato Passerà con mio fratello Franchino.

Chiudiamo guardando al futuro: cosa ti aspetti da Bravi Ragazzi e cosa ti auguri per il futuro prossimo? 

Mi aspetto er mejo, è normale. Al tempo stesso però non ho propria idea di come possa andare, se questa mia evoluzione potrà piacere oppure no. Più che altro non ho idea se sarà capita oppure no. Proprio per questo sto in ansia fracica! Non vedo l’ora però di portare Bravi Ragazzi live, dopo più di due anni che non suono: ho annunciato il tour che mi parte il primo Aprile, cinque date, e spero di replicare questa estate. Non vedo veramente l’ora di riabbracciare il mio pubblico, e di trasmettergli tutta la passione che ci ho messo a chiudere questo album.

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Studente, accanito lettore, alla continua ricerca di creatività. Dalla mentalità diversa da chi tergiversa.
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