
Simone Romini e Abdelarahmane Belkheir, in arte rispettivamente Semola Buche & ABDXL provengono entrambi da Ravenna. Sono due giovani artisti emergenti, rispettivamente autore e produttore, che in provincia ci sono nati e non se ne sono mai andati.
Il cammino di ritorno è il loro primo progetto discografico ufficiale, distribuito da Glory Hole Records, sotto la direzione artistica di Moder e fuori per 4Tuna Records.
Un album intrinsecamente personale, intimo, il cui titolo non funge assolutamente da accessorio involontario. I suoi testi racchiudono i racconti di vita di Simone e Abdel e di nessun altro.
Paradossalmente però, sono capaci di evocare un sentimento comune e tanti, dando vita a una narrazione universale in grado di rappresentare con estrema efficacia lo stato emotivo di ogni ventenne a prescindere dalla generazione. Ragazzi di cenere, quarto brano del disco, è il più evidente manifesto di tutto questo.
Il cammino di ritorno è innanzitutto un racconto multiculturale in cui tanti possono riconoscersi, dalla provincia alla grande città. Un melting pot di suoni e riferimenti, costruito intorno al rap delle origini, ma senza la paura di osare e uscire dalla propria confort zone. Un solo featuring, nel singolo Mes Freres, nata a metà strada tra Marsiglia e Montpellier. Quattro skit parlati e accuratamente curati nella loro interpretazione vocale anche grazie alla collaborazione con l’attore Roberto Magnani, a intervallare la narrazione del disco, parlando in maniera diretta all’ascoltatore.
Pochi giorni fa ho incontrato Simone e Abdel a casa loro, in quella Ravenna bollente e rumorosa di metà estate. Assieme ad un’altra decina di persone sono impegnati da settimane nell’organizzazione logistica e creativa dell’ottava edizione dell’Under Festival che si terrà in varie location della provincia a partire da venerdì 29 luglio. Abbiamo chiacchierato vivacemente per quasi due ore e racchiudere quanto ci siamo detti in queste righe non è stato affatto facile. Ci ho provato, spaziando tra quelli che sono gli assi portanti su cui si fonda Il cammino di ritorno: il disagio e lo smarrimento adolescenziale, l’incertezza dell’età e al tempo stesso il coraggio dei vent’anni, il francese, le esperienze vissute, i giudizi sul futuro, quella teatralità trasportata in musica che fa risuonare alcuni pezzi unici nel loro genere. Buon viaggio.
Ciao ragazzi e benvenuti su lacasadelrap.com! Inizierei dal principio: come e quando è nata la vostra collaborazione?
Semola (S): Il sodalizio tra noi due, umano e artistico, è nato circa tre anni fa, tramite alcune amicizie in comune e si è andato poi a sviluppare in maniera molto “urban”. Verso la fine del primo loockdown, a inizio estate 2020, il nostro primo disco era finito, registrato per intero in un garage in due giorni. Ancora non avevamo delineato un titolo ma eravamo praticamente pronti ad una pubblicazione immediata e indipendente.
A progetto completato, Lanfranco – in arte Moder -, che per primo ha puntato su di me e che personalmente considero il mio mentore artistico, ascolta il disco e nota contemporaneamente un buon potenziale, ma anche tanta inesperienza e precocità.
In quel periodo Glory Hole cercava due progetti da produrre, grazie al contributo della Legge sulla musica della Regione Emilia-Romagna (LR n. 2/2018 “Norme per lo sviluppo del settore musicale” art 8), e ci è stata offerta la possibilità di registrare e arrangiare tutto il progetto in studio. E’ stata l’occasione perfetta per dare maggiore professionalità ad un progetto con delle potenzialità, ma che originariamente era molto amatoriale, noi stessi ne eravamo consapevoli. Senza quell’occasione probabilmente il disco sarebbe morto molto in fretta.
Dunque Il cammino di ritorno è nato originariamente oltre due anni fa, giusto?
Abdxl (A): La pandemia e nello specifico il secondo loockdown ha rallentato tantissimo la realizzazione completa del progetto. Il cammino di ritorno possiamo dire che ha quasi due anni si. Le strumentali non sono mai state cambiate, gli skit sono esattamente gli stessi, e pure le barre, Simone le ha ritoccate in minima, seppur determinate, parte. Questo lungo periodo, che ammettiamo essere stato alle volte parecchio frustante, è servito però a rendere il progetto un prodotto artistico più valido, di cui andiamo molto soddisfatti e per cui dobbiamo ringraziare tantissime persone.
Due anni corrispondono a un’epoca, musicalmente parlando, nel mercato discografico odierno…
A: La cosa che ci compiace di più è esattamente questa: passati due anni il progetto suonava figo ancora. Discutemmo molto sul tema e inizialmente pure noi eravamo preoccupati della cosa. Quando si lavora a un disco e passa così tanto tempo si ha paura che possa invecchiare, che possa suonare datato. Ad ogni ri-ascolto però ne andavamo sempre più orgogliosi.
Forse è dovuto al fatto che Il cammino di ritorno è un disco molto démodé, ha al suo interno tanto storytelling e, soprattutto, si allontana per scelta da qualunque moda e trend musicale del momento. Volevamo raccontare qualcosa tramite la musica e lo abbiamo fatto: il gusto a riguardo sarà poi indiscutibilmente soggettivo, ma nessuno potrà mettere in dubbio il fatto che si tratti di un album che non risponde ad alcuna logica di mercato.

Qual è il filo conduttore di tutto l’album?
S: C’è un filo conduttore ideale di tutto il disco e credo che sia il saper tornare sui propri passi. Le quindici tracce del progetto, skit compresi, vanno a delineare il cammino di una persona. Un viaggio crudo e complicato, ma allo stesso tempo dolce ed energico. Il cammino di ritorno è esattamente questo: il racconto della nostra storia, personale ma anche universale, una storia nella quale in tanti possono riconoscersi.
L’adolescenza che narro è la mia, ma nei testi delle tracce racconto tanto anche di altre persone, di altri contesti che ho vissuto in prima persona o che mi sono stati raccontati da persone a me molto vicine e che provo qui ad elaborare tramite la musica.
Dove porta questo cammino di ritorno?
S: Tutto il viaggio che abbiamo voluto raccontare trova il suo compimento nelle ultime due tracce del disco: No, il cane – Si, l’avvoltoio. Un duplice finale: da un lato quello che è successo realmente nella mia vita, dall’altro quello che avrei voluto succedesse, la rivalsa. È vero, esiste un finale canonico che è il No, perché reale, ma la nostra volontà comunicativa è quella di arrivare ad ogni ascoltatore in maniera differente.
In base alle proprie personali esperienze ognuno può giungere alla fine del disco e scegliersi il proprio finale, che in ogni caso sarà quello giusto. Nel cammino di ritorno si parla di amore, di amicizie infantili, di periferia, di disagio e di smarrimento: certo, ci siamo noi e i nostri vent’anni, ma pensiamo veramente che chiunque possa rivedersi tra queste note.
Il disco prende vita tra Ravenna, Marsiglia, Algeri e Tunisi. Cosa significano per voi queste città?
S: Il viaggio anche qui è complesso. Mia nonna, figlia di siciliani, è nata e vissuta per anni a Tunisi. Una parte dei miei parenti si è invece stabilita in Francia, dove vive da anni. A casa da piccolo si parlava o il siciliano o il francese, quasi mai l’italiano. Ho ascoltato tantissime storie dalla Tunisia e dall’Algeria grazie a zii e nonni, e sono stato decine di volte in Francia.
La mia adolescenza è stata di fatto contaminata da lingue e soprattutto culture molto diverse fra loro, che mi hanno influenzato prima come persona e successivamente come artista. Nel disco sono presenti tanti stimoli e tante idee che ho appreso oltre ai confini di Ravenna.
Quanto ha influito, e influisce tutt’ora, il luogo in cui siete nati sulla vostra musica?
A: Ravenna è una città musicalmente e culturalmente ricca. Una delle ragioni principali di tutto questo è il CISIM. Poche altre città in Italia io credo possano vantare un centro culturale simile. Un luogo fortemente comunitario, in cui da anni si porta avanti una scuola di rap e di scrittura, affiancata a laboratori e proposte culturali o artistiche più ampie, a cui sia giovani che adulti possono partecipare contemporaneamente.
Da quando esiste il CISIM (quasi 15 anni ndr.) fare musica a Ravenna non è più la stessa cosa: non sei mai solo e hai sempre un confronto disponibile se lo ricerchi. Da questa genuina condivisione, che a volte può essere anche critica, la musica si nutre. Dentro le quattro mura della tua cameretta sarai sempre il più forte a fare rap. Così come tra il tuo gruppetto di amici. Senza confronto e senza critiche si sfocia in un ego-trip fragile e insicuro, come oggi appare evidente anche tra nomi più rinomati. L’avere a disposizione un’istituzione come il CISIM nella tua città è stato il vero punto di svolta del nostro percorso artistico.
Quante persone hanno collaborato, non solo musicalmente, alla realizzazione e pubblicazione del disco?
A: Sarebbero decine i nomi delle persone che dovremmo farti. Ci teniamo in particolare a citare e ringraziare nuovamente Moder, che ha assunto il ruolo di direttore artistico di tutto il progetto, e l’attore Roberto Magnani, che ha seguito Simone, aiutandolo nell’interpretazione vocale degli skit. Questo da un punto di vista prettamente musicale.
Ci sono state poi decine di persone che ci hanno supportato nella realizzazione grafica del progetto, un team unico di creativi che nelle copie fisiche del disco abbiamo citato uno ad uno, con affianco il relativo contributo che ci hanno offerto. Da indipendenti ci teniamo tantissimo a fare presente questa cosa, cioè a ringraziare nuovamente tutte le persone che hanno creduto in noi e in questo progetto. Saranno una trentina probabilmente, ognuna delle quali l’ha fatto in maniera genuina e spontanea. Non ce lo aspettavamo a dire il vero ed è stato un riconoscimento molto gratificante per noi.

Il cammino di ritorno ha da poco compiuto tre mesi di vita sulle piattaforme digitali: che reazioni avete avuto dal pubblico in questo arco di tempo?
S: L’impressione che in questi mesi stiamo avendo è positiva. A Ravenna e dintorni il disco ha funzionato. Abbiamo realizzato dei cartelloni in giro per tutta la città con la copertina del disco, come fosse un poster di presentazione di un film retrò. L’idea è nata da Abdel, che in prima persona ha costruito la grafica. Nessuno lo aveva mai fatto prima a Ravenna, abbiamo inteso la città come il nostro personale cinema dove trasmettere musica e per questa cosa la gente si è gasata.
Certo, non avevamo l’aspirazione di entrare nelle classifiche Spotify e infatti così non è stato, ma noi stessi siamo sempre stati molto realisti sulla cosa. Il trascorso musicale che abbiamo è molto lungo a livello di esperienze e di gavetta, ma i brani rilasciati prima del disco erano numericamente limitati, per lo più featuring. Quello che ci rende estremamente orgogliosi a entrambi è però il riscontro dal vivo che stiamo avendo, ai live, nelle occasioni in cui presentiamo il disco: la reazioni faccia a faccia sono calorose, quando suoniamo la gente viene gasata. Abbiamo avuto mezzi limitati e totalmente indipendenti, ma nonostante questo abbiamo fatto il nostro, al meglio delle nostre possibilità.
A proposito di live: una delle maggiori occasioni che avrete per portare sul palco Il cammino di ritorno sarà il 10 Agosto, in apertura a Davide Shorty, per l’ultima delle sette serate dell’Under Fest 8, a cui voi partecipate pure nel comitato di organizzazione. Avete voglia di spiegarci cos’è e cosa rappresenta Under Fest?
A: L’Under Festival è uno spazio di confronto, un luogo in cui confluiscono stili e generazione diverse. Il festival del sottosuolo letteralmente, dove si celebra lo spirito Hip Hop delle origini e la scena rap underground con un format probabilmente unico in Italia. Nelle sette serate di festival, che quest’anno inizieranno il 29 luglio e termineranno il 10 agosto, sono previsti sia live canonici con ospiti affermati, sia la presenza simultanea sul palco di più artisti in esibizioni intrecciate, a rotazione – i cosiddetti cypher.
Si tratta di un’occasione in cui viene dato ampio spazio ad artisti giovani ed emergenti, dove ognuno ha la possibilità di mettersi in gioco e dimostrare il proprio valore. Tutto questo crediamo sia di vitale importanza per il movimento italiano, ora più che mai dato che i palchi per gli emergenti sono sempre meno e sempre più difficili da occupare. Il tutto viene arricchito ogni anno da talk e approfondimenti parlati su ciò che oggi il rap rappresenta.
Concludendo, Under Fest è un puntino sulla mappa tra i festival d’Italia, portato avanti con impegno e costanza, cercando di fare arrivare anche in provincia una proposta diversa. Finalmente, negli ultimi anni, sta assumendo la rilevanza che merita anche a livello nazionale.
