Parola d’ordine: sincerità. Nessuna maschera, nessun compromesso. Questo non è un cane è il titolo dell’ultima fatica discografica di Claver Gold. Rilasciato per Woodworm / Glory Hole Records, è un disco intimo e malinconico. Tratta di amore, di storie vere, di povertà, di quartieri. Ha il dichiarato intento di raccontare le persone, stanziandosi dalla parte della gente. “Il più vero e sincero che abbia mai scritto”: così me lo introduce Daicol all’inizio della nostra chiacchierata.
Ancora prima di leggere tracklist e ospiti vari, l’annuncio del disco mi colpì immediatamente per due aspetti: il titolo, con i suoi molteplici rimandi artistici e la copertina grafica, bellissima peraltro.
Da sempre io sono appassionato di arte. L’ho studiata sia alle superiori che all’università, frequentando l’Accademia di Belle Arti a Bologna, ed è sempre stata per me fonte di ispirazione.
Per la copertina mi sono affidato ad un ragazzo, Lorenzo Anzini, in arte LoreProd, pittore e tatuatore di cui mi fido ciecamente. Avevo visto qualche suo lavoro, gli ho dato un paio di indicazioni sugli intenti e lui ha realizzato un lavoro straordinario di cui vado molto fiero.
Il titolo, Questo non è un cane, è invece un rimando al pittore belga René Magritte e al suo dipinto Questa non è una pipa. Il cane è qui inteso come metafora dell’amore che l’uomo dovrebbe esprimere nei confronti di tutti: un amore sincero, incondizionato, che non si aspetta nulla in cambio. Come quello di un cane appunto, che non chiede mai nulla in cambio del suo affetto.
Il disco si apre con una Intro parlata dal sapore piuttosto rassegnato. Metti immediatamente in chiaro che non si tratterà di un disco leggero né nei contenuti né tantomeno nella forma (per fortuna aggiungo).
Si, l’Intro è una sorta di personale dichiarazione d’intenti. Ho tentato di racchiuderci le principali problematiche che vado poi a trattare nel disco, facendone una cernita tematica: politica, religione, amore, povertà.
Ho scelto di parlare e non rappare per dare ancor più rilievo alle mie parole, avvisando l’ascoltatore attraverso una cauta manipolazione. Se non reggi l’Intro è inutile che prosegui nell’ascolto.
Il tuo modo di scrivere è da sempre molto cantutoriale. Questo non è un cane presenta però un evidente tentativo di ampliare i propri orizzonti tramite la scrittura, di raccontare anche per gli altri. Penso ad esempio a Malastrada, il singolo che ha anticipato il progetto, in cui racconti certe dinamiche molto universali.
Verissimo. Questo non è un cane è un disco che racconta della gente e che vuole stare dalla parte della gente. La volontà è quella di esprimere il mio punto di vista su determinate tematiche, spesso trascurate, rimanendo però fedele al mio modo di scrivere.
Malastrada è stato scelto come singolo di lancio proprio per questo. Nella mia vita ho visto tanti ragazzi pieni di talento, che non sono mai riusciti a sprigionarlo adeguatamente, segnati da un destino già scritto: per la mia generazione, quella cresciuta negli anni ’90, se nascevi in un contesto semplice o in quartiere popolare non potevi aspirare quasi a nulla. La mia storia personale e del luogo in cui sono nato, Tofare, in provincia di Ascoli, è stato il gancio in cui rispecchiare la provincia italiana e alcune sue sfaccettate dinamiche, a lungo taciute.
Colgo la palla al balzo: credi che si stia facendo abbastanza a livello sociale e comunitario per supportare giovani e non che si ritrovano a vivere situazioni simili a quelle che narri in maniera tanto autentica nella tua musica?
Io credo che nelle grandi città esistano realtà che supportano e stimolano i giovani: lo fanno tramite laboratori, artistici o di scrittura. Attività creative e sociali che cercano di accendere una scintilla nei ragazzi. Al contrario, in provincia o nelle città minori, c’è ancora troppo poco. E se mai esistesse una colpa, non è sicuramente da attribuire ai più giovani, che non reputo responsabili di certe scelte, almeno fino ad una certa età.
La responsabilità è semmai della società, di quegli adulti che troppo spesso non riescono ad ascoltare e capire i bisogni dei ragazzi, indirizzandoli inevitabilmente verso un futuro già scritto. La mia musica, nel suo piccolo, è indirizzata proprio a loro.
All’interno del disco ho notato diversi passaggi più intimi del solito. Hai sempre parlato tra le righe di dinamiche come l’ansia – penso ad esempio alla traccia “La notte delle streghe”, in Requiem – ma ora certi aspetti, tra cui paure e insicurezze, emergono in maniera più netta rispetto alla tua scrittura passata.
Recentemente ho affrontato un lungo percorso di analisi che mi ha aiutato a conoscermi e a capire quali fossero davvero le mie paure. Mi ha permesso soprattutto di capire l’importanza del chiedere aiuto. Quando magari parlavo di ansia in Tarassaco (“Tarassaco*Piscialetto“, terzo album di Claver, datato 2012 – ndr.), lo facevo perché la stavo vivendo in prima persona e ne ero costantemente spaventato. Ora nulla è scomparso, ma grazie all’analisi ne conosco le cause e riesco a conviverci. L’analisi mi ha aiutato a capire di non essere invincibile, di essere al contrario vulnerabile. È umano.
Non è tanto comune mostrarsi fragili nel mondo perfetto di oggi, soprattutto tra chi pratica il tuo mestiere …
È vero. Se tu però scegli già di metterti a nudo, di mostrati apertamente fragile, che cosa ti si può dire di più? Qualunque arma di offesa usino, tu sei già consapevole che spesso è vero quello che dicono.
Se ti conosci questo già lo sai. Se al contrario cerchi di nascondere i tuoi problemi e ti chiudi in te stesso, quando poi sopraggiungono le difficoltà fai inevitabilmente fatica. La vita è fatta di continui ostacoli e credo fortemente che l’essere se stessi senza paranoie sia l’unica soluzione per affrontarle. Lo Stato dovrebbe sviluppare sistemi sociali per aiutare i ragazzi proprio in questo.
Entro all’interno di alcune barre del disco, che ho particolarmente apprezzato. Quello citato è un passaggio autobiografico oppure romanzato?
Perché tu forse non sai cosa vuol dire fame / Torno a casa e lì mio padre ancora spezza il pane / Versa il vino e gira il legno sul tegame / Con le mani che profumano di strada sporche di catrame.
Da “Il coraggio di dirti“, “Questo non è un cane“, Claver Gold.
Si tratta di un passaggio totalmente autobiografico. Mio padre ha lavorato per una vita intera e non è la prima volta che scrivo una barra sull’argomento. In Calicanto ad esempio dicevo: Mio padre accarezza la carta vetrata / Dentro un’officina scordata, isolata / Si sfrega le mani con una pomata / Che cura quei tagli, la vita è spietata. Le mani di mio padre sono sempre state spaccate dal freddo. Mani di una generazione che ha vissuto un altro tipo di vita.
Mi han detto “non ti seguo, ora sei commerciale”
Da “Sapori e Sostanza“, “Questo non è un cane“. Claver Gold featuring Tormento
Retorica che è da sempre un grande classico delle lamentele nel rap …
Credo che la ridondate retorica del “eri meglio prima” sia un sentimento che dipende dal legame che uno ha con determinati album. Io ad esempio ho un legame fortissimo con Sindrome (“Sindrome di fine millennio” di Uomini Di Mare, ndr.), che per molti non è il miglior disco di Fibra, ma lo è per me. In quel preciso momento storico, quel disco ha per me significato tanto.
Questo non esclude che vi sono evidenti casi in cui un artista decide volontariamente di cambiare il proprio modo di fare musica, anzi, se ne vedono sempre più oggi giorno. Però ecco, secondo me è importante scindere le due cose.
Tu hai veramente la percezione di essere ad oggi commerciale?
Sulla base di quanto detto, io personalmente non mi sento troppo toccato da questa critica. Questo non è un cane è un disco classic hip hop a tutti gli effetti. Poi ok, magari presenta qualche apertura maggiore rispetto a Melograno, ma d’altro canto vanta anche di beat e testi migliori. Mi sento molto coerente con me stesso: l’evoluzione c’è perché fa parte della crescita, della musica e dell’arte, altrimenti continuavamo a fare sempre i dischi tutti uguali.
Se parlo della droga vera vi si gela il cuore / Degli amici a Patrignano e dei fratelli a San Vittore
Da “Sapori e Sostanza“, “Questo non è un cane“. Claver Gold featuring Tormento
Non mi piace inneggiare alla criminalità. D’altronde chi è un vero criminale non te lo dirà mai esplicitamente. Certe cose che uno vede nella vita gli rimangono dentro per sempre, segnandolo. A me è successo, e raccontarle in un determinato modo, lasciando sempre quel velo di mistero ma senza “sparare” a fatti improbabili, credo che sia la soluzione migliore. Senza dimenticare poi che non c’è nulla di figo nel far uso di droghe.
Nel nuovo millennio stiam vivendo la nuova Apartheid
Da “Horror Vacui”, “Questo non è un cane“
A cosa fai riferimento in questo passaggio?
Ho scritto questa barra nelle settimane successive all’omicidio di George Floyd, durante le proteste contro gli abusi di potere da parte della polizia nei confronti degli afro-americani. Ho sfruttato il fatto per tornare su una tematica che sento molto vicina e su cui penso vi sia un eccessivo menefreghismo da parte delle persone: nel 2022 è per me inconcepibile dover ancora lottare contro omofobia, xenofobia e razzismo.
Queste cose dovremmo averle superate da trent’anni ormai. Sono preoccupato. Soprattutto perché so che il problema è propriamente culturale. La paura nel prossimo è un tarlo sociale ancora troppo radicato nel mondo in cui viviamo: o non sei mai uscito di casa nei ultimi dieci anni, o non hai mai aperto un libro in vita tua.
L’unica strofa rappata non da te all’interno del disco è quella di FileToy. Ennesima scelta controcorrente da parte tua che, ora come ora, potresti vantare collaborazioni assai più influenti nell’attuale scena musicale – ma non per questo qualitativamente migliori, anzi, secondo me FileToy ha scritto una strofa fortissima...
La scelta è controcorrente al mio percorso artistico, ma estremamente coerente alla natura del disco. La possibilità di collaborare con altri rapper ovviamente c’era: penso però che in questo preciso disco fosse giusto portare un amico che ha vissuto le mie stesse storie, che ha fatto con me un determinato percorso, che ha visto la fame, la droga, i centri sociali, ma soprattutto che ha visto l’evoluzione di Claver Gold sin dalle origini. FileToy, oltre ad essere un grande rapper, è un amico vero. Ci tenevo tanto che la sua fosse l’unica strofa rap nel mio album. Mi ha detto che l’ha riscritta ben sei volte.
Non te lo nego, forse è dovuto al fatto che ho vissuto gli ultimi 3 anni della mia vita in quella città, amandola in tutte le sue sfumature, ma BoloRicordo ha suscitato in me delle vibes speciali. Con quel jazz da brividi in sottofondo e quell’omaggio a Marcio in apertura …
Collegandoci anche a quanto appena detto, nel momento in cui tu finisci le superiori e vai a studiare a Bologna, secondo me ti scompare immediatamente ogni paura nel prossimo. Bolo è una città multietnica, un melting pot di culture, etnie, religioni così diverse fra loro che ti fanno apprezzare la diversità in maniera profonda. Questa diversità è veramente la chiave del sapere e, per me, pure della felicità.
Partendo da questo presupposto credo che Bologna mi abbia dato tanto, sia a livello umano che artistico, facendo maturare parecchio il mio rap. La porto nel cuore ed è come una seconda casa – anche per questo, nell’ordine della tracklist si trova affianco a Malastrada, che invece è la mia prima casa.
Sottili ma ben reperibili per un orecchio attento anche diverse frecciate verso alcuni colleghi. Che piega sta prendendo oggi il l’hip hop che va in radio e fa numeri inimmaginabili fino a 10 anni fa?
Non mi sento oramai nemmeno di poter parlare più di hip hop. Si parla di rap, di trap o alle volte proprio di pop. È necessario fare una dovuta distinzione. C’è l’hip hop inteso innanzitutto come cultura: un genere che, nonostante le sue difficoltà, ha sempre portato avanti determinati valori. E questa cosa non è scomparsa: tanta gente continua, nel sottosuolo, a portare avanti queste idee, tramite laboratori, corsi di beatmaking o di scrittura, tentando ancora oggi di salvare ragazzi, toglierli da certi ambienti proprio attraverso la speranza dell’hip hop.
Poi c’è invece il rap, usato esclusivamente come fine. Che poi intendiamoci, io sono pure contento se un ragazzo esce da una situazione di disagio facendo musica e guadagnando: il problema è che ora il rap è diventato il mezzo per avere successo, non più un’eventuale conseguenza.
L’hip hop è un’altra cosa. Ci tengo a ribadirlo: è innanzitutto una cultura, che ha sempre accolto tutti. Un contenitore artistico e umano di aggregazione, un po’ come fu decenni fa il punk. Ecco, io amo l’hip hop, profondamente. Questa roba mi ha salvato la vita.
E determinate scelte nella mia vita le ho fatte sulla base di valori e credenze che questa cultura mi ha trasmesso e mi continua a trasmettere tuttora. Se mi becchi per strada io voglio che tu identifichi in me una certa appartenenza. Voglio continuare ad essere riconosciuto come quel “B-boy dei ’90 con i pantaloni larghi” (cit.)