Se volete ascoltare un album di soli banger, questo non è quello fatto per voi. Se vi aspettate un disco di una manciata di tracce, nemmeno. E, soprattutto, se immaginate un progetto monolitico di brani molto simili tra loro, siete sulla cattiva strada. Insomma, se vi siete fatti una certa idea di come sarebbe potuto essere l’esordio di uno dei massimi interpreti della drill italiana, accantonatela. L’artista milanese Rondodasosa, nel suo primo album ufficiale intitolato TRENCHES BABY, ha scelto non solo di mettere tutte le carte in tavola, ma anche di mischiarle tra loro nei modi più disparati.
Composto da 17 brani, TRENCHES BABY è un disco in cui Rondodasosa non è banalmente uscito dalla sua comfort zone, ma ci si è allontanato così tanto da far un giro intorno al mondo, raccogliendo moltissime (e forse anche troppe) influenze sonore e stilistiche. L’iter più lungo e probabilmente anche più complicato, però, lo ha fatto dentro sé stesso per cercare di raccontare il Mattia dietro la figura da driller spaccone.
Il tentativo di apertura introspettiva è arrivato il 4 novembre 2022, a poco più di due anni dal suo primo e fortunato EP, Giovane Rondo, sul retro della cui cover era già nascosta la scritta “TRENCHES BABY“. Questo farebbe pensare all’album come una sorta di obiettivo su cui l’artista puntava da lungo tempo, ma che, sia nella struttura che all’ascolto, si rivela tutt’altro che un punto d’arrivo.
Testi
“Welcome to Trenches Baby“: ecco le prime parole pronunciate da Rondodasosa nel brano che fa d’apertura all’album, ovvero la title track. Sin dall’inizio, quindi, l’artista di San Siro ci tiene a sottolineare che la sua storia, sia artistica che personale, parte dal quartiere popolare milanese in cui è cresciuto. Lo slang “trenches”, infatti, si riferisce solo metaforicamente agli scavi usati durante la guerra, indicando zone con alti tassi di violenza e criminalità che, proprio per questo, vengono paragonate nella musica urban a quelle trincee che i soldati spesso descrivevano come l’inferno.
È attorno alle trenches che il racconto di Rondodasosa non solo prende il via, ma si articola nella sua interezza. “Vengo dalle trenches, non voglion vederci vincere”, dice ancora nel primo brano, introducendo uno dei concetti base non solo del disco, ma di tutto il suo percorso: il dover combattere l’hating. Un odio che, in fin dei conti, per l’artista non è altro che benzina sul fuoco della sua musica.
Adesso mi odiano
Ma tra un paio di anni capiranno tutti il valore
Giovane Rondo spacca lo stesso anche se gli chiudono le porte
canta infatti in KILLY DEMON, con la stessa attitudine di SIN CARA. In quest’ultimo brano, infatti, afferma con decisione di voler continuare sulla strada, lasciandosi alle spalle tutti gli hater che un giorno lo rimpiangeranno. La risposta del driller all’odio è quindi la perseveranza.
“We came from the bottom / We came from the trenches / Credi in te stesso, fissa gli obiettivi” scrive, non a caso, in SUPERNOVA. È in questo testo, tra l’altro, che il motivo delle trenches chiama in causa l’altro tema portante dell’album: l’amore. “Vengo dalle Trenches, vengo dalle popo, nessuna ragazza mi amava”, così Rondodasosa introduce un argomento che fino ad ora non aveva approfondito e che viene declinato in molte salse soprattutto nella seconda parte della tracklist.
Se negli energici banger che lo hanno condotto al successo l’artista risulta abbastanza convincente dal punto di vista testuale, avendo già trovato una personale chiave stilistica per raccontarsi in questa veste, lo stesso non si può dire dei “pezzi love”. Escludendo alcune immagini suggestive con cui l’artista riesce a parlare d’amore in modo singolare, perché trasporta davvero questo sentimento nel suo immaginario (“Siamo sopra un AMG / Con le sfumature degli interni che si intonano col colore dei tuoi capelli” in DOLORE 2), in generale non risulta troppo incisivo nelle canzoni sentimentali, abbandonandosi spesso a banalità.
Senza dubbio, ciò è in parte riconducibile all’aver iniziato a muoversi in un terreno ancora non troppo esplorato e in parte dovuto ad una naturale propensione verso temi diversi. Difatti, in un approccio non solito come quello introspettivo, la scrittura di Rondodasosa convince comunque di più che nei brani d’amore.
È nella malinconica BLUE CHEESE, infatti, che l’artista lascia una delle strofe più sentite e ben scritte dell’album.
Prima di cantare la vita era una merda
Non è cambiato nulla, vivo ancora di merda
Non mi importa dei soldi, sono una conseguenza
Ma da quando ho iniziato la gente sembra diversa”
confessa nel brano, svelando che, nonostante il raggiungimento del successo, resti comunque ancorato a una visione della vita a volte simile a quella nelle trenches. D’altronde, nell’ultima canzone dell’album, DOLORE 2, ammette: “Puoi togliere il blocco, ma non il blocco stesso in cui sei nato / Il tuo primo errore sarà rinnegarlo”. Quello di Rondodasosa, sia nella vita che nella musica, come si nota nella struttura del disco, è dunque un viaggio che inizia e finisce nelle trenches, perché neanche la rivalsa può cancellare l’apparenza. E questo resta ciò che sa raccontare meglio.
Strumentali
Visto il desiderio dell’artista di mostrare altri aspetti della sua personalità, raccontandoli e raccontandosi in modi inediti, i tappeti sonori di TRANCHES BABY si propongono come più che vari. E, sotto lo sguardo di Nko che ha prodotto la maggior parte dell’album, sono affidati a un sacco di professionisti: Low Kidd, thasup, Miles, Peter Bass, Sixpm, Picasso, Charliejay, Synthetic, Daniel Taylor e Zekiro.
Si spazia così dalla drill per i momenti in cui Rondo sfoggia la sua iconica attitudine, a un ampissimo ventaglio di suoni per tutte le occasioni in cui si cimenta nel mostrarsi in una veste diversa. Ecco, allora, che in YAMAHA (prod. Nko) si confronta con un beat r’n’b che ben riprende l’iconico giro di Leave (Get out) di JoJo, in SCUSA (prod. Nko, Sixpm, Miles) si lascia trasportare da travolgenti vibrazioni latine e in PLAYA (prod. Miles) vola fino in Brasile per misurarsi con nuovi suoni sapientemente mescolati.
Nonostante tutte le produzioni siano di un ottimo livello, la sperimentazione sonora che riflette quella identitaria e tematica del giovane artista, genera un po’ di confusione. Sentendo alcuni brani singolarmente, infatti, risulta un po’ difficile ricondurli allo stesso album, il che non contribuisce a dare quel senso di coesione che è per definizione tipico di un prodotto di questo tipo. Quasi sicuramente, l’attuale tendenza a una fruizione sempre più frammentata dei dischi, unita alla viralità di parti di singoli brani stimolata da TikTok, farà percepire molto meno questo aspetto, ma nell’economia complessiva del disco resta un aspetto da tenere in considerazione.
Tutto ciò non toglie il dover riconoscere soprattutto a Nko la capacità di aver offerto a Rondodasosa un ambiente sonoro di qualità in cui sentirsi comunque sempre a suo agio, nella ricerca di un’identità artistica più sfaccettata.
Stile
Contrariamente a ciò che ci si sarebbe potuti aspettare, essendo stati abituati a vederlo in un determinato immaginario, in TRENCHES BABY Rondodasosa ha dimostrato una grande versatilità. Ne è prova non solo la naturalezza con cui si è calato nel contesto latineggiante di SCUSA, ma anche la capacità con cui ha oscillato sul tappeto trap/drill di DRILLMOON, confezionato per lui da thasup.
La prova più sorprendente, però, è quella di SIN CARA, nata dalla felice collaborazione tra Nko, Low Kidd e Miles. Rondodasosa non solo ha fatto vedere quanta famigliarità abbia col rap nudo e crudo, ma ha dimostrato di saper stare sul classic sia come ci si aspetterebbe, nella prima strofa, sia a modo suo, nella seconda.
Nel resto dei brani, l’artista è riuscito anche fondersi bene con i vari featuring. D’altronde, aveva già avuto modo di collaborare con Lazza, Vale Pain, tha sup e Capo Plaza, ovvero la quasi totalità degli artisti presenti, ad eccezione di Rose Villain e Ghali che figurano in CELL. Forse solo nella collaborazione con le star internazionali Gazo e Russ Millions, Rondodasosa trova coi due meno alchimia di quanto i due ospiti non facciano tra loro.
Indubbiamente, è nel suo, ovvero in TOKYO, che il driller ha fatto maggior sfoggio delle sue capacità e della sua energia, anche grazie alla padronanza dello slang del genere. Il brano si presenta come l’incarnazione perfetta della personale interpretazione della drill dell’artista e Nko. E sarà senza dubbio difficile per Rondodasosa, nella sua sperimentazione appena avviata, riuscire a raggiungere un livello simile in altri stili. Magari restringendo il ventaglio di scelta in successivi progetti, il compito risulterà un po’ meno arduo. Ma di certo non impossibile.