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Intervista

Dentro la mente di Mistaman c’è molto più di quanto ci si possa aspettare

Mistaman

S’intitola Dentro La Mia Mente il nuovo album di Mistaman, disponibile dal 2 dicembre, su tutte le piattaforme streaming per Comb Music, distribuito da The Orchard e anticipato dai singoli Sempre In piedi, Luce Nell’Ombra e Ora Che La Musica Non C’è.

Se vi state chiedendo cosa mai possa avere da dire un artista al suo settimo progetto solista e quali modi possa mai trovare per farlo dopo vent’anni di carriera, sappiate che il rapper di Treviso, lungo 12 godibili brani, riuscirà a dissolvere ogni vostro scetticismo. 

Nella sua ultima fatica discografica Mistaman, come può suggerire il titolo, ha esplorato la sua interiorità più che in ogni altro suo precedente lavoro, non perdendosi tuttavia nei meandri della mente e neanche in quelli del linguaggio. Ogni rima, gioco di parole e incastro, infatti, prima che a mettere la firma del rapper, è funzionale al racconto degli andirivieni di luce e ombra di cui tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo trovati a fare esperienza. Come Mistaman lascia che in questo disco la realtà si rifletta sulla sua mente, così infatti chiunque si può specchiare in ogni brano, riscoprendosi in uno spicchio di luce o ritrovandosi in un angolo più buio

“C’è luce nell’ombra” canta Mistaman e non lo fa a caso. L’album è figlio di un periodo tanto inquieto quanto transitorio al termine del quale l’artista si era già proiettato grazie alla potenza della scrittura e, ovviamente, della musica. Musica che, dall’elegante combinazione tra le basi granitiche di Dj Shocca e la sperimentazione jazz di Ze In The Clouds, ha regalato al suo viaggio interiore una colonna sonora perfetta, capace di spaziare tra i suoni quasi tanto quanto lui ha spaziato tra i temi. 

E, per continuare l’esplorazione sospesa tra l’interiorità di Mistaman e la realtà in cui questa si specchia, abbiamo deciso di intervistarlo.

Ascolta “Dentro La Mia Mente” di Mistaman!

Stare fuori dalla scena per tre anni, in un’industria musicale dai ritmi sempre più serrati, non è sicuramente facile. Tantomeno tornarci da persona adulta in un panorama dominato da artisti sempre più giovani. Com’è stato approcciarsi alla realizzazione di un nuovo progetto in contesto così mutevole?

Per me il ritmo è sempre stato quello di un disco ogni due o tre anni, perché credo che serva del tempo da vivere per dire qualcosa di significativo, magari non per gli altri, ma quantomeno per me. Quando si scrive un pezzo, spesso l’inconscio si libera di un po’ di pesi. E questo per me vale soprattutto in questo album che è molto psicanalitico, come suggerisce già il titolo.

Tra l’altro, restando in ambito psicanalitico, ho notato, soprattutto nella scrittura di questo progetto, che sembra quasi che l’inconscio anticipi qualcosa sul futuro. Ci sono dei brani di redenzione che ho scritto in un momento in cui la redenzione non era ancora arrivata. È stato come se l’inconscio, che si sa essere più potente della mente conscia, sapesse già delle cose. La tecnica di scrittura è solo la punta dell’iceberg, poi c’è tutto un mondo che deve essere portato allo scoperto. È assurdo ascoltare un pezzo scritto sei mesi prima e rendersi conto di stare vivendo quello che si aveva descritto in precedenza. Ho scritto di redenzione mentre ero dentro la crisi, mi ero già proiettato avanti e rendermene conto è stato bello. 

“Chi sfida se stesso in ogni caso vince”, dici in Check 1 2. E in questo disco ti sei sfidato molto, mettendoti alla prova su territori sonori che lasciano molto spazio alla sperimentazione…

La sfida è stata coniugare due mondi che io amo molto musicalmente: quella che è la mia confort zone, la roba granita di Shocca, con l’eclettismo di Ze In The Clouds, che io credo sia davvero un visionario. In realtà, non è stata una sfida solo per me, ma anche per loro. E crediamo sia ben riuscita.

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Un’altra sfida che, invece, mi riguarda ancor più da vicino, è stata quella di cercare di non cadere nella tecnica a tutti i costi. Il pericolo sarebbe stato quello di creare qualcosa che emozionasse molto tecnicamente, ma fosse distante da ciò che volessi dire in partenza. Dopo tanti anni che scrivo, una delle sfide più grandi per me, infatti, è riuscire a restare agganciato a ciò che voglio dire. E penso di esserci riuscito in questo disco. 

Mistaman
Mistaman, foto di Andrea Nose Barchi

Sia dal punto di vista dei testi, che da quello dei suoni, l’album è un andirivieni continuo di luce e buio. Anche Mistaman sembra ed è sempre sembrato in contrasto col resto della scena rap, lontano dagli stereotipi del rapper, ma al tempo stesso più ancorato alla cultura hip hop di tanti altri.

Il mio essere paradossale è molto vero: sono mega hip hop, ma non incarno lo stereotipo del rapper, nonostante i rapper mi riconoscano come super rap. In più, c’è una mia componente punchline violenta, però dall’altro lato c’è anche quella molto umana, misurata. Credo che in tutte le persone ci sia questa bivalenza. Dato che nello scrivere ho sempre cercato di essere il più onesto possibile, mi son sempre cimentato nell’esprimere entrambi questi miei due lati al 100%. Tant’è vero che, per esempio, cerco sempre di tenere la componente punchline violenta in uno stato di violenza sublimata.

Non cado mai nella trappola di dire “guarda che se ti becco per strada ti ammazzo”, perché a nessuno verrebbe da pensare che io sia davvero quel tipo di persona. Per me la sublimazione è sacra. L’hip hop nasce da un tessuto violento, ma violento per davvero, e questo aspetto si va a sublimare. Nessuno di noi è libero dal bisogno di essere violento, o dalla tentazione di esserlo, ma l’arte e tutto ciò che sublima la violenza è l’occasione per prendere questo impeto e portarlo in un terreno logico, che paradossalmente può essere anche più violento, come un videogioco splatter o un film horror.

Si dovrebbe trovare sempre il modo di far capire che sia una violenza sublimata. Sono molto critico nei confronti della celebrazione della violenza come sua rappresentazione 1:1, perché credo che si debba andare oltre la nostra propensione animale a questo impulso. 

Questo sembra in contrasto con la scena italiana in cui si tende spesso a rimarcare la veridicità della violenza. 

Credo sia un problema legato a quanto tempo abbiamo e quanto siamo disposti ad andare in profondità rispetto a quello di cui fruiamo. Nell’arte rinascimentale c’era tutta una serie di significati stratificati nelle opere, perché non si potevano comunicare altrimenti determinate cose. Oggi siamo all’estremo opposto: non c’è nessuna intermediazione, dall’artista si giunge direttamente all’ascoltatore. Così, non è più necessario stratificare il significato. Anzi, più si nasconde il messaggio, più gente si perde per strada

È per questo che, come canti in Sempre in piedi ti senti “incompreso”?

In quel brano associo quelle parole a delle altre, dicendo che ognuno si intrattiene fin dove sta capendo. È una cosa di cui spesso ci si dimentica, ma che, al tempo stesso, ci assolve dal non raggiungere masse oceaniche. Non si può pretendere lo stesso livello di comprensione da tutti. L’ideale sarebbe offrire qualcosa a ogni livello di fruizione, ad ogni strato. Ed è un po’ quello che io provo a fare. Poi, chiaramente, più una cosa è elaborata, più va digerita e ci vuole del tempo per farlo.

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Io mi illudo sempre che ciò che faccio sia fatto per rimanere. Non giudico l’ottica del fast food, dell’essere sempre presenti e quant’altro, non mi metto sulla torre d’avorio a gridare “noi, a differenza degli altri, facciamo roba per pochi”, perché vorrei davvero che la mia musica la ascoltasse quanta più gente possibile, solo che questo è l’unico modo che conosco per farla. Quando penso che qualcosa che creo sia semplice, spesso è già complicata, perché sono complicato io (ride, ndr). Faccio la mia roba e ne pago il prezzo. Non c’è frustrazione, ma solo consapevolezza. Poi, per chi vuole davvero entrare nel mio viaggio, magari c’è un premio in più. 

Mistaman – Sempre In Piedi (Lyrics Video)

In tutto l’album, parli molto del tempo,  spesso in prospettiva. Nonostante questo, alcune riflessioni politiche e sociali sono una perfetta fotografia del presente. Credi che sia più per la propensione del genere che fai, il rap, di farsi specchio della realtà o per la volontà che avevi in questo disco di raccontare il ritorno che il mondo esterno ha sulla tua mente? 

Io mi sono sempre sentito molto proiettato verso il futuro in generale, basti pensare, per esempio, che ho sempre letto molta fantascienza. Anzi, una cosa che, tra virgolette, mi frustra sempre un po’, è che quando incontro qualcuno che mi conosce per la mia musica, la prima cosa che mi dice è “grande, ti ascolto da quando…” oppure “mi ricordo di quando…”. Ho la fortuna e l’orgoglio di aver fatto dei classici che mi vengono riconosciuti, ma io non ci penso più, perché penso che da artista io abbia già fatto quella roba. Mi diverto a portare ancora sul palco dei classici, però guardo avanti.

Un po’ mi dispiace che quando esce un pezzo nuovo mi si dica “mi riporti a 10 anni fa”, perché, sì, è bello che qualcuno abbia dei ricordi legati alla mia musica, ma artisticamente io sono proiettato verso il futuro. E questo perché per me la musica è uno specchio, in questo caso rivolto verso di me, però a sua volta dentro di me c’è uno specchio rivolto verso fuori, in un gioco di rimandi o, appunto, una riflessione.

Hai un modo particolare di rapportarti ai social, quasi sbeffeggiando le loro stesse dinamiche di utilizzo, come nel post di annuncio di Sempre in piedi, e parli del mondo digitale in molti brani. Credi che per non farci inghiottire da questo vortice di dati l’antidoto possa essere l’immaginazione che citi in Stai Con Me

Credo che una cosa che manchi ora all’umanità sia il mistero, l’idea che ci sia ancora qualcosa che ci può affascinare. Tutto è accessibile. Io lavoro da vent’anni in ambito tecnologico: la tecnologia è il mio pane quotidiano, non la rifiuto, anzi ci sguazzo dentro. Spesso però nella nostra vita manca la magia, perché abbiamo tutto a portata di mano. Mancano degli spazi vuoti da riempire con l’immaginazione. Il modo in cui molti artisti usano i social sembra dare molto spazio all’immaginario, ma poco all’immaginazione. Spesso si spiattella ciò che c’è da dire, senza presagire altro.

C’è un concetto che si chiama “distanza esotica” che consiste nel fatto che più una cosa sia lontana dalla nostra quotidianità, più affascina. Quando noi tanti anni fa ci siamo innamorati dell’hip hop era anche perché avevamo una conoscenza anche parziale di ciò che succedeva, vivevamo dei dischi e dei pochi video disponibili e tappavamo i buchi di ciò che non vedevamo con l’immaginazione. Abbiamo praticamente creato una religione attorno a quello che non vedevamo e immaginavamo. E spesso gli spazi vuoti sono stati riempiti con valori positivi che si sono rivelati condivisi a livello mondiale.

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Oggi, più si va avanti e sempre più spesso viene meno una dose di meraviglia, quindi forse la salvezza rispetto a questo eccesso di informazioni, di intrattenimento è trovare delle nicchie in cui meravigliarsi. Io, ad esempio, mi meraviglio molto di tutto il mondo del machine learning, che è un ambito tecnologico che ancora mi permette di meravigliarmi. 

A proposito di machine learning, i video di due estratti dell’album sono stati realizzati proprio attraverso l’Intelligenza Artificiale. Ciò sembra suggerire un parallelismo tra la capacità di questi sistemi informatici di simulare il comportamento del pensiero umano nel generare e assemblare immagini e la capacità della mente di un rapper – a maggior ragione la tua che è al centro del disco – di creare immagini con le parole. 

Anche quando si ascolta il rap ci si crea delle immagini mentali, perché questa arte ha la capacità di suggerire immagini in poco tempo, dopo averle a sua volta assemblate in modi che magari a qualcun altro non sarebbero venuti in mente. 

Sembra anche che tu, dopo aver avuto il controllo sulla creazione del disco, lo abbia voluto perdere per un attimo, affidandolo all’Intelligenza Artificiale. E, pensandoci, è come vivere il processo creativo due volte, perché ogni situazione di questo tipo implica una minima perdita di controllo. 

Sì, e tra l’altro io sono molto affascinato da tutto ciò che è ordine e caos, come dico proprio in questo disco. Il machine learning, di base, è costituto da milioni di parametri che trovano nell’ordine il loro fondamento. Un panino è un panino e un canguro è un canguro. Associando questi due elementi, ne viene fuori un canguro che mangia un panino ed è lì si crea il caos. Trovo l’ordine che genera il caos molto affascinante. Anche il DNA, se ci si pensa, funziona allo stesso modo: 4 amminoacidi da cui può venir fuori un koala o un essere umano. Stessa cosa la musica, che è basata sull’ordine, su scale di note, ma poi arriva il jazz a disintegrare questo ordine. E anche questo aspetto torna nell’album.

Per di più, la dicotomia ordine e caos mi riguarda da vicino. Essendo molto logico come persona, il mio percorso è sempre quello di cercare di rompere lo schema. Sono ossessionato dall’idea, andando un po’ nel filosofico, che il libero arbitrio possa essere una illusione, cioè che l’universo sia totalmente deterministico e che, quindi, tutto sia regolato e sia impossibile sfuggire all’ordine delle cose. Trovare il modo per rompere questo schema è fondamentale ed è quello che provo a fare col modo in cui scrivo. Tento di dare la prova che io abbia capito la struttura e anche quella che si possa rompere, non pretendendo che tutti possano cogliere immediatamente questo ragionamento. 

Mistaman – Ora che La Musica Non C’è (AI Generated Video)

Ultima domanda per i prossimi passi che ci auguriamo muoverà il disco. Sappiamo che per te la dimensione dei live è molto importante. È già previsto un tour? E in che veste dovremmo aspettarci questo album sul palco?  

Grazie mille per questa domanda, è una cosa a cui tengo molto. Le formule con cui porterò questo disco dal vivo sono due: una molto classic col dj, quindi con Dj Shocca o con Dj Tsura, e poi ci sarà anche la formula con la band, con Ze In The Clouds alle tastiere, il bravissimo Gianluca Pellerito alle batterie e un bassista formidabile, Riccardo Oliva. E forse anche altri ospiti musicisti. E non vedo l’ora di suonare con tutti loro. 

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