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Intervista

Kento torna con l’album Kombat Rap: l’intervista

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Ci sono introduzioni che riempiono il cuore di passione a scriverle, esattamente come questa. Kento ha pubblicato ormai 13 anni fa il suo primo album da solista. Noi abbiamo imparato a conoscerlo meglio prima tra le righe della sua autobiografia, poi nel suo libro dedicato alle generazioni più giovani e poi con Barre, in cui racconta la terribile realtà delle carceri minorili italiane, ma anche molti singoli e Ep.

Ora il rapper torna con l’album Kombat Rap, pubblicato da Time 2 Rap. Kombat Rap è un album stratificato, un viaggio intimo, diretto, innamorato, onesto e certamente critico verso alcune dinamiche della realtà Italiana, dall’industria musicale ai social.

Pur mantenendo l’attitudine ostinata e contraria, è originale. Questo album si differenzia da quanto ci si può aspettare da un rapper non allineato. Come dice anche nella canzone Nuovo Classico è solo “un assaggio di un nuovo viaggio fantastico”. Infatti in Kombat Rap la lotta, lascia spazio alla passione, alla sua incomunicabilità, al disincanto e al desiderio di cambiamento sociale e al desiderio tout court.

Kento definisce questo nuovo album presuntuoso, io lo trovo trasversale, ricco, a tratti evanescente, ma anche molto concreto. Per questo sarà capace di arrivare a persone diverse, anche lontane dai movimenti controculturali. Kombat Rap, infatti, è un album in cui si possono ascoltare le voci di Xena principessa guerra, ossia Lucy Lawless, ma anche una leggenda della dancehall giamaicana come Burru Banton, inseme al liricista Claver Gold, al rapper napoletano Lucariello e poi al noto Johnson Righeira. Queste voci si rincorrono su basi davvero interessanti. Come ad esempio quelle di Gian Flores, di Shiny D, di ProMo L’Inverso, di Mad Simon. Oppure quelle semplicemente immancabili e mai scontate come quella di DJ Fastcut.

L’album Kombat Rap di Kento racchiude un mix di respiri, sospiri e attimi vita di un ostinato rapper e l’anima di uomo anarchico; a partire da queste mie impressioni a caldo, dopo aver ascoltato in anteprima il disco. Abbiamo voluto rivolgergli alcune domande.

Iniziamo da “Kombat Rap”. Ossia Rap da combattimento? Combattivo? Mi potresti spiegare come mai questo titolo.

La prima ispirazione viene sicuramente da Combat Rock, il leggendario disco dei Clash che è una pietra miliare non solo del punk ma di tutta la musica ribelle e non allineata. Ma, allo stesso tempo, è un abbraccio anche al combat folk dei Modena City Ramblers. Se altri generi musicali possono porsi come punto di riferimento per chi vuole cambiare un presente inaccettabile, perché non anche il rap? Quindi ci ho messo la K di Kento e così è nato il titolo. Tupac diceva che ogni atto rivoluzionario è un atto d’amore, ma forse è vero anche il contrario, e cioè che ogni atto d’amore è un atto rivoluzionario. Quindi anche esprimere i propri sentimenti, la propria passione, la propria visione della musica e della vita può essere un’affermazione di lotta e di combattimento.

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Kento. © Foto Ufficio Stampa. PH – Benedetta Pieri

Kombat Rap è esattamente il disco che volevo che fosse: ambizioso, forse addirittura presuntuoso. Un disco che rispetta l’ascoltatore, che non lo tratta da scemo, e che chiede rispetto a sua volta, perché dietro ogni nota e ogni parola c’è un universo. Ovviamente potrà piacere o no ma, per chi lo ascolta, si presta poco all’indifferenza, ai sentimenti neutrali, e questa è la caratteristica che mi rende più fiero di questo lavoro.

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Pietre è un elenco di titoli di canzoni nazionali e internazionali: come questa scelta Kento?

Le pietre possono essere lanciate per colpire ma possono essere usate anche per costruire. Da questo punto di vista, la musica che ho ascoltato crescendo mi ha aiutato e continua ad aiutarmi sia nella parte distruttiva che in quella costruttiva della mia vita. Non sarei chi sono se non avessi ascoltato Nas o Guccini o i Public Enemy o Paolo Conte. E quindi era importante mettere questa traccia come apertura del disco, un po’ come dire: se varcate questa soglia, questo è quello che dovreste aspettarvi. Sono molto contento del bel riscontro che sta avendo, c’è chi si sta divertendo a identificare tutte le canzoni, mi dicono che addirittura stanno facendo una playlist. Uno sforzo titanico visto che, se ho fatto bene i conti, dovrebbero essere quasi 170 titoli

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Kento. © Foto Ufficio Stampa. PH – Benedetta Pieri

“Voi altri non amate, tifate come nel calcio”, in questo verso di Nuovo Classico (prod. YDFWÑ) a che cosa ti riferisci, all’non amore verso la cultura Hip hop? Oppure?

Chiunque sia un minimo sotto i riflettori, pure io che certamente non sono una star del mainstream, si ritrova in qualche modo ad essere de-umanizzato da una certa retorica del cazzo da social network. C’è una polarizzazione assurda dei sentimenti e degli approcci, per cui tu ti ritrovi ad essere dipinto come un eroe o uno schifoso venduto quando ovviamente non sei nessuna delle due cose.

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Kento. © Foto Ufficio Stampa. PH – Benedetta Pieri

Anche persone che fino a ieri avevano un approccio più “normale” cominciano a trattarti in un modo diverso, o a fare richieste strane, e questo ti porta inevitabilmente a chiuderti anche se non avresti nessuna voglia di farlo. Ci sono alcuni con cui magari hai condiviso una parte del tuo percorso passato ma, per un motivo o per un altro, non “ce l’hanno fatta”, e in qualche modo pensano che sia colpa tua, che tu gli abbia rubato qualcosa che era anche loro. Oppure, peggio ancora, che ti basterebbe allungare il braccio e tirarli su, e non lo fai perché sei un egoista. Purtroppo funziona in un modo ben diverso, ma certi non riescono a capirlo.

Ad un certo punto,sempre in Nuovo classico dici “sono troppo underground o troppo commerciale Sono troppo funk, troppo punk, ma poco di tutto, troppo compagno, quasi fascio”. Che cosa volevi comunicare?

Quando una carriera artistica si fa lunga e, nel mio caso, pure trasversale su vari fronti e varie forme di espressione – tra musica, libri, podcast e tutto il resto – è inevitabile scontentare qualcuno. La cosa paradossale è quando ti ritrovi ad essere “troppo” e “troppo poco” allo stesso tempo: troppo militante e servo del capitale, troppo Hip-Hop e troppo contaminato. L’unico modo di sfuggire a queste stupidaggini sarebbe non fare niente: chi non fa non sbaglia. Ma l’inerzia non farà mai parte del mio essere: preferisco fare e sporcarmi le mani (perché sicuramente molte cose le ho sbagliate, le sbaglio, le sbaglierò) piuttosto che stare seduto sul divano ad accettare passivamente ciò che ci viene somministrato, oppure a lamentarmi solo su internet. Dall’altro lato, se non avessi voluto fare un disco Hip-Hop, non avrei messo gli scratch di un fenomenale Dj Snifta proprio su questa traccia!

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Kento. © Foto Ufficio Stampa. PH – Benedetta Pieri

Non mi parli (feat. Claver Gold, prod Gian Flores) è una canzone amore intensa ed enigmatica, quasi evanescente come un fantasma. A dispetto del titolo mi ha parlato molto. Come nasce?

Il tema dell’incomunicabilità tra due persone che provano un sentimento forte non è facile da affrontare eppure, se sai abbastanza grande da aver vissuto una storia importante, sicuramente l’hai sperimentato almeno una volta sulla tua pelle. Claver era la persona giusta da chiamare su una traccia del genere appunto perché è un maestro a catturare l’evanescente, a dire ciò che non si riesce a spiegare. Anche la base è difficile, particolare ma – una volta che riesci a comprenderla e farla tua – ti regala delle opportunità straordinarie.

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A volte mi rendo conto che chi mi conosce poco tende a considerarmi soltanto come un rapper di lotta, di movimento, quando in testi come Non Mi Parli mi riconosco altrettanto rispetto a tracce più esplicite e spinte. Spero che, nonostante il titolo dell’album, chi ascolta Kombat Rap capisca che è un disco pieno di tante cose, di tante emozioni, che in quasi un’ora di musica non ho ho messo dentro solo roba contro i fasci e gli sbirri, e che anche quella non è superficiale né fatta di slogan. Ecco perché domande come questa che mi hai fatto mi fanno particolarmente piacere.

Dentro ai testi la memoria, noi ne siamo testimoni tu sei solo testimonial” a che cosa ti riferisci in Collutorio (prod. DJ Fascut)?

La musica si appiattisce e diventa noiosa quando si piega in modo passivo ai dettami del mercato. Dall’altro lato, anch’io non vivo in cima a una montagna e so bene che, al giorno d’oggi, ogni artista professionista deve fare i conti con le economie che la propria musica è in grado di generare. L’importante è farlo con intelligenza e senza svendersi. Ormai non siamo più nell’epoca in cui tutto ciò che underground viene considerato bello o autentico e tutto il mainstream è brutto o costruito: Clementino, giusto per fare un nome, è un artista che è arrivato su tutti i palcoscenici più importanti senza rinnegare le radici Hip-Hop.

Dall’altro lato, non in tutto l’underground mi rispecchio, perché a volte lo vedo perdere tempo in polemiche sterili, gare a chi piscia più lontano e giochetti da bambini, pure tra gente che ha quaranta e più anni. Anche da questo atteggiamento mi vedrai sempre ben lontano.

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Kento. © Foto Ufficio Stampa. PH – Benedetta Pieri

In “Passionaria” e in “Amore Che Vieni Amore Che Vai” racconti di vivaci intrecci sentimentali da prospettive diverse. Nella prima omaggi una persona ” ostinata e contraria”, invece,nella seconda fai una citazione a una delle canzoni d’amore più belle di De André. Cosa rappresentano per te queste canzoni?

De André è uno dei giganti della nostra musica e della nostra poesia, uno degli imprescindibili. Omaggiarlo, sia nel ritornello di Pasionaria che nella cover, significa ringraziarlo di tutte le ispirazioni e le idee che mi ha messo in testa in tutti questi anni. E avere la possibilità di mettere al microfono due grandi artiste come Rosa White, che ha cantato i cori di Pasionaria, e Lucy Lawless (su Amore Che Vieni, Amore Che Vai) dà, secondo me, una tridimensionalità a questo percorso, quel tipo di emozione che solo il confronto con il femminile mi riesce a offrire. Li ritengo due dei miei testi migliori di sempre: tra i più autentici e forse anche tra i più inaspettati.

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Kento. © Foto Ufficio Stampa. PH – Benedetta Pieri

In “Io sono libero” è una canzone molto dura. Parli di una ”Italia che non assomiglia ai nostri sogni”, perché molto spesso ingiusta, classista e razzista. In che modo Kento nel nostro piccolo possiamo renderla migliore, più simile ai nostri sogni?

Il poeta diceva che l’arte non è uno specchio con cui riflettere il mondo ma un martello con cui scolpirlo, e io provo ancora ad utilizzare le parole come armi per denunciare ciò che non va e suonare forte l’allarme. Pensare con la propria testa, non rassegnarsi all’informazione allineata, cercare di crearsi un pensiero critico indipendente senza cadere nel complottismo e nelle stronzate: tutti questi dovrebbero essere imperativi per chi vuole capire l’epoca in cui viviamo, e sinceramente io per primo devo metterli in pratica meglio e più intensamente. Oggi c’è chi dice “pene più severe per gli scafisti”, quando gli “scafisti” spesso sono dei ragazzini a cui qualcuno ha dato un timone in mano e gli ha detto “vai dritto”. L’ignoranza e l’ipocrisia generano mostri, e vanno sempre a discapito dei più deboli.

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Kento. © Foto Ufficio Stampa. PH – Benedetta Pieri

“Niente cambia” feat Cassandra Raffaele subito sembra essere una critica alla stasi sociale, culturale e politica, ma poi assume una piega più personale. A che cosa ti riferisci?

Quando i giorni sembrano tutti uguali, quando ci chiudiamo a riflettere… capita stesso che rispecchiamo su noi stessi ciò che pensiamo del mondo, e viceversa. Quindi sì, è difficile tracciare il confine tra le due sfere, e volevo esattamente che questa canzone fosse un’altalena, cullando lo spettatore tra le metriche arabescate e la voce inconfondibile di Cassandra. Non puoi cambiare il mondo esterno se prima non cambi il mondo dentro di te.

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Kento. © Foto Ufficio Stampa. PH – Benedetta Pieri

Per concludere “Illegale” è un podcast che uscirà a breve. Puoi raccontarci di che cosa si tratterà?

Illegale” è un viaggio nella controcultura italiana, in tutti quegli spazi delle nostre città dove si fa arte, musica ed ogni tipo di espressione in modo inconsueto o comunque non allineato. Sono ben 18 puntate, e la prima uscirà il 28 aprile su tutte le piattaforme per Emons Record. È un’avventura nuova, rispetto alla quale non so bene che cosa aspettarmi e quindi sono molto impaziente di vedere che tipo di riscontro avrà. Ci tengo moltissimo: tutti i luoghi e le persone di cui parlo li ho conosciuti e vissuti in prima persona, non ci sono cose sentite dire o cercate su internet. Uno sguardo diverso e forse inedito su un’Italia nascosta, ma per questo forse anche più interessante.

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