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Intervista

Entics “Purple Haze” senza censure

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Ben ritrovati all’appuntamento con le Interviste Scritte de La Casa del Rap. In questa occasione vi propongo l’intervista che ho realizzato in compagnia di Entics, nome d’arte di Cristiano Zuncheddu, nato a Milano il 16 marzo ‘85 e cresciuto nel quartiere periferico di Baggio.
Attenzione a date e numeri perché tornano con una certa ricorrenza in occasione della pubblicazione del suo ultimo disco ufficiale dal titolo Purple Haze, lavoro disponibile da venerdì 17 marzo per Sony Music in cd e in digitale.
Ho parlato di date perché il progetto è uscito proprio il giorno successivo al 32esimo compleanno di Entics in una giornata, il fatidico venerdì 17, che in questo caso richiama e rende omaggio alla ricorrenza dei 50anni dalla pubblicazione di “Purple Haze”, singolo scritto ed interpretato da Jimi Hendrix, uscito il 17 marzo ‘67 e poi inserito nel suo album d’esordio “Are You Experienced” nella versione americana e canadese.

Procediamo con ordine, prendetevi del tempo per voi stessi, mettete in play il disco e godetevelo durante la lettura.

Incontro Entics al Celebrities Bunker in zona Repubblica e devo ringraziare Luca Gricinella, che cura l’ufficio stampa per diversi artisti e realtà legate al panorama del rap italiano, per aver organizzato l’incontro. Oltre a noi, a farci compagnia per l’ora abbondante di chiacchierata c’è il Boxer di Mr.Entics.
Consapevole del fatto che la maggior parte delle interviste dedicate a “Purple Haze” sono già online e, lo erano anche al momento in cui io ho parlato con Entics, ho provato a parlare con lui del dietro le quinte dell’album, in questo racconto, che ho voluto definire “senza censure”.

Contestualizzato il tutto, direi che è il momento di svelare alcuni dei retroscena del percorso che hanno portato Entics alla composizione del suo nuovo disco, un progetto che ho trovato fin dai primi ascolti sincero, genuino e spontaneo, frutto di un lavoro senza forzature e che, dopo questa chiacchierata, posso dire un po’ più mio, augurandomi che possa essere lo stesso anche per voi.

Quali sono state le tappe principali del tuo percorso in musica?
Sono quattro tappe. Prima di “Entics TV” (pubblicato nel 2008 – n.d.r.) c’è stato un mio millantare nella scena e nell’ambiente, pur non avendo mai prodotto ufficialmente niente a parte qualche uscita per qualche compilation per le radio. Ricordo che all’epoca c’era RIN (Radio Italia Network – n.d.r.) che ai tempi spingeva un canale Hip Hop. Un mio carissimo compagno di crew, Dj Yaner, lavorava in quella realtà e io ho iniziato facendo qualche jingle per RIN, ricordo che facevamo le nostre prime registrazioni andando di notte in radio. Questa è stata la prima fase, dove nel frattempo facevo anche i palchi nelle serate di freestyle e avevo già fatto da spalla a Vacca… Questo tra il 2002 e il 2006. Successivamente ho avuto un’esperienza al sud con i Pooglia Tribe, nell’ambiente delle dencehall giù in Salento e si era creato un bel giro di amici. Tra l’altro in quel periodo lavorai ad un progetto che non uscì mai.
Con “Entics TV” concretizzai tutto questo percorso, dando inizio ad una seconda fase. Ho preso in mano tutto quello che avevo assorbito come una spugna, ed è uscito questo progetto, sempre con la collaborazione di YoClass! dove abbiamo fatto la promozione anche attraverso i video sul canale Entics TV, prima ancora che su YouTube ci fossero gli YouTuber. Abbiamo concretizzato tanto. Questa fase ha ricoperto l’arco temporale dal 2007 al 2008, poi sono stato fermo fino al 2009, dove però abbiamo suonato nelle dancehall e iniziato a collaborare tanto nei dischi Hip Hop, dove la scena mi ha un po’ accolto.
Successivamente è arrivato “Ganja Chanel” (pubblicato il 17 marzo 2010 – n.d.r.). Il 2011 è stato ricco di roba tra mixtape, ecc. e questa è la terza fase, che poi mi ha portato alla mia avventura in major con i primi due dischi del primo contratto, che furono “Soundboy” (pubblicato nel 2011 – n.d.r.) e “Carpe Diem” (2012 – n.d.r.). Ci fu il tour di successo di Fabri dove io avevo fatto da spalla, nel periodo Tempi Duri, un periodo dove, non essendoci ancora l’esplosione mediatica di reality/talent, la popolarità l’ho conquistata in un tour fighissimo con Fibra. In quel momento, nonostante già avessi un buon riscontro da parte del pubblico, ci fu davvero un’esplosione.
Chiuso questo capitolo qui, che si è concluso con tante soddisfazioni, ma anche con una parabola che non può sempre essere ascendente, perché le cose cambiano, si è aperta la “fase vita”, dove il risultato è rappresentato da questo nuovo album. Questo disco rappresenta la consapevolezza di chi sono oggi. Mi sono preso una pausa nella quale ho recuperato lo stimolo per trattare argomenti più vicini alla vita quotidiana di tutti. Tirando le somme io sono contento così, con questa faccia e questo spirito, lontano dagli stereotipi.

​​​Quanto tempo ti ha occupato la lavorazione di questo disco?

Io lavoro a quello che poteva essere il progetto nuovo da parecchio tempo. Dopo il ciclo lavorativo di “Entics Television Vol. 3” (2014 – n.d.r.), ho iniziato fin da subito a lavorare in studio. Dopo tanti anni che fai musica e ti succedono un po’ di cose intorno a quella che è la tua realtà, tutto quello che fai inizia a diventare semplicemente un esercizio di stile e non è più sentito come all’inizio, anche perché magari, quello che dovevi dire lo hai già detto. Così ti rendi conto che non tutto quello che esce può essere funzionale. Io ho scritto moltissimi brani in questo periodo che però non sono contenuti in “Purple Haze” perché sono stati sentiti e risentiti e poi scremati, fino a quando non sono rimaste le sole tracce del disco.
Queste (indica la tracklist -n.d.r.), rappresentano le tracce con le quali ho voluto rimettermi in gioco.
Quelle che senti sono il frutto di 3/4 mesi di lavoro. Trovata la chiave di volta, scattato il click all’interno dell’ingranaggio, capito quale era il senso del lavoro, mi sono concentrato su quello, per proporre un prodotto che non fosse un collage di cose e lo testimonia l’assenza di “Revolution”, che invece rappresenta semplicemente un momento estivo legato ad una mia esperienza di viaggio, che non trova spazio nell’album che invece, dalla traccia 1 alla 12 contiene delle immagini e delle atmosfere che ti riportano dall’una all’altra.
Il lavoro è scattato dalla voglia e dalla necessità di non ripetersi, senza dover per forza indossare un vecchio abito che oggi mi sta stretto.

La quotidianità è al centro del disco. Oltre alla musica, le tue attività come stanno andando?
Io nel mio passato ho fatto parte di una scena che era diversa da oggi e, facendone parte, avevo sempre più la sensazione di parlare solo per quell’ambiente lì. Fare altre cose, come viaggiare, avere altri business e impegni, interfacciarmi con altri mondi, mi ha fatto capire cosa potessi prendere da queste realtà per portarle nella mia musica.
Adesso, fortunatamente, non ho orari e riesco a gestirmi. Per quanto riguarda il mio studio di tatuaggi, ormai è aperto da 3 anni e mezzo. Ci tengo a dirlo, non volevo che la gente pensasse: “ecco, è arrivato il rapper che vede del business e investe per puro lucro.” No! Anche in questo caso, lo studio, lo abbiamo realizzato con un’etica solida e professionale. Non è lo studio di strada dove ti fai il tribalino. Questo è uno studio che lavora con artisti riconosciuti nel settore, si trova in un interno e lavoriamo tantissimo anche con personaggi famosi, ma soprattutto con chi ne capisce di tatuaggi. I clienti ci richiedono l’opera dell’artista e la realtà che è nata, possiede un background forte. In questi 3 anni ci siamo tolti tante soddisfazioni perché abbiamo fatto convention sia in Italia che all’estero, abbiamo avuto ospiti internazionali e ci siamo posizionati nella top ten degli studi di Milano. Facciamo il nostro e lo facciamo con una coscienza forte.
Mentre per quanto riguarda l’abbigliamento, in questo momento, l’ho un po’ messo in standby. Abbiamo fatto tantissimo, il Borderline non c’è più, ma la linea “YuoNeedThisShit” va avanti perché è sempre stata curata e prodotta da YoClass! e anche senza lo storico headquarter continuerà ad essere distribuita. Senza poi dimenticare tutto quello che era legato al merchandising dei vari album, che hanno aperto un po’ le strade anche ad altri, soprattutto per far capore loro come funzionasse quella roba li. Questa cosa, ai tempi, ci ha aiutati a diffondere sì la nostra musica, ma soprattutto ad avere un riscontro economico visto che non ti potevi scaricare la maglietta di Ganja Chanel.

Tu, in quegli anni, sei stato uno dei primi ad avere l’intuizione di diversificare il proprio business tra musica, abbigliamento, ecc.
Ti dico un’altra cosa, oggi è cambiato proprio tutto.
Adesso ci sono altri contesti anche dove andare in giro a suonare. Se vai a suonare in discoteca o nel club non hai la possibilità di montarti il tuo banchetto per il merchandising. Adesso sono cambiate le dinamiche.
Se al tempo ti prendevi una struttura che poteva servirti da headquarter, dove poi inserire della gente che lavorava su un progetto, adesso è tutto più nell’aria. Puoi avere il magazzino da una parte, l’amico che ti da una mano dall’altra, lo studio da un’altra ancora. Lo spazio che prima vivevi adesso è molto più virtuale ed effimero.

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​​​​​Tornando al disco, che è prodotto da Sony, volevo chiederti che ruolo ha avuto Sony sul disco e che riscontri stai avendo su iTunes e Spotify. Se guardi queste cose.

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No, non guardo a queste cose, ma spero che la gente si sia accorta che il disco sia fuori. La gente che mi seguiva, con il tempo, ha fatto scemare l’attenzione che aveva nei miei confronti, distratti o incuriositi da altro. Per farti un esempio, “Entics TV 3” molti non sanno nemmeno che è uscito perché non ha avuto quel riscontro mediatico che riaccendesse la fiammella nel pubblico.
In questo caso qui (con l’uscita di “Purple Haze” – n.d.r.) non credo che ci sia stata una spinta maggiore da parte di Sony rispetto al passato, ma credo che qualcosa abbia riacceso quella fiamma nelle persone, senza alcun tipo di forzatura mediatica.
Questo mi fa pensare che, al di la dei meccanismi per far funzionare le cose, è tutta una questione di allineamento di pianeti. Il passaparola oggi fa tantissimo! È vero che ci sono notifiche da tutte le parti, però se tu ascolti una cosa e lo racconti ad una persona, che a sua volta lo racconta ad un’altra, il tutto assume una valenza diversa. Credo sia la cosa che sta succedendo adesso. Molte persone che in un certo periodo mi hanno un po’ perso, adesso hanno riacceso l’interesse e questo mi fa molto piacere, anche perché probabilmente è il risultato di una crescita sia mia, ma anche loro. Ognuno di noi nel proprio vissuto ha delle immagini forti e quando qualcuno riesce a riaccenderle, è emozionante. Ho scavato nel mio passato per recuperare delle immagini forti che mi appartengono, per proporle anche a chi mi ascolta. “Classe 85” è un esempio e ti dico che avevo recuperato altre immagini, che però non ci stavano più nel testo e lo testimonia il fatto che non si ripete mai nulla se non il “Milano classe 85” e anche i ritornelli sono diversi.
Questa cosa di avere delle immagini ancora in sospeso, è bella, perché mi da lo stimolo di proseguire nella scrittura, mi da la forza di proseguire dopo che c’è stato un break di stimoli, che ho recuperato vivendo tutta una serie di esperienze dirette fuori dal contesto in cui ero inserito.

Tralasciando il titolo e le sue motivazioni, qual è l’immagine del disco?
Tutto parte dal concetto del pezzo “Da Baggio a Bali” (l’album inizialmente era stato pensato con questo titolo – n.d.r.) e dal fatto che volevo riportare al centro il mio quartiere, quasi come se l’unico videoclip di questo disco dovesse essere ambientato con gli amici alle panchine al parco. La direzione che il disco ha preso, è quella del voler raccontare il quartiere e le situazioni quotidiane.
Comunque “Purple Haze” è servito su più fronti per sviluppare idee artistiche. Adesso abbiamo fatto una cosa anche molto estrema a livello di semplicità (in riferimento all’artwork – n.d.r.) però, come ha detto Chaka Nano di YoClass!: “La cosa bella della grafica è quando c’è grafica”.
Il libretto in bianco è stata una bella idea, proprio per il fatto che, adesso, i ragazzi iniziano ad inviarmi foto sui social con le loro personalizzazioni. Poi all’interno ho inserito una frase sul lusso (Il Lisso, Bruno Munari: Da cosa nasce cosa, 1981 – n.d.r.) che proprio l’altro giorno mi ha dato un altro spunto. Ero andato ad acquistare qualche copia del cd con gli amici e proprio loro mi hanno detto: “L’ho preso (in copia fisica – n.d.r.) perché sei tu, ma davvero non so dove metterlo”. In effetti l’autoradio ha il supporto USB, il pc non ha il lettore, quindi dove lo mettiamo questo cd?
Mi sono reso conto che la copia fisica è proprio un feticcio, una cosa rimasta per pochi. Che poi il cd è bruttissimo! Si rompe, basta proprio! Visto che è carta straccia è giusto che il libretto te lo usi tu come ti pare, senza foto che le trovi su Instagram. Ho inserito solo una foto selfie stupida, fatta con il cellulare e piccola, volevo che fosse la musica a farla da padrone.
Ci sono diversi particolari grafici. Anche la tracklist, che non è stata studiata, ma è semplicemente in ordine alfabetico, è invece riportata sul retro del disco secondo i canoni del font helvetica e questo allineamento sfalsato con le maiuscole non è casuale. Sono scelte di gusto grafico che derivano dallo studio dell’helvetica fondamentalmente.
Io sono un appassionato di grafica e anche se, questi particolari non arrivano a tutti, a me piace inserirli anche per creare piccoli confronti su queste cose tra le persone che ci fanno caso.
Sul fronte del cd vero e proprio (di colore verde e bianco – n.d.r.), abbiamo fatto una cosa che non si fa, ovvero abbiamo strecciato il tondo e le parole, così, alla brutta, per dargli questo effetto.
Ti racconto anche un altro gossip sulla copertina. Noi siamo riusciti a farci dire di no da Sony per la copertina che avevamo presentato all’inizio, nonostante se ne siano viste tutte. In realtà doveva essere Pantone sullo stile della paletta pantone con la classica striscia bianca e con scritto “Purple Haze” e il numero 420 (nella cultura popolare americana è identificativo della Marjuana, per una serie di vicende e qualche leggenda – n.d.r.) come codice pantone. Sfortuna vuole che esista già, sia il nome di un colore originale Pantone che si chiama appunto purple haze e che è un grigino, sia il codice 420 che richiama un altro colore ancora.
Quindi siamo riusciti a farci rompere le palle lo stesso, ma questo ci fa piacere perché comunque ci sentiamo sempre avanti rispetto alle tendenze.

​​​​​​Ascoltando “Purple Haze”, ho colto alcuni parallelismi legati al vissuto e alle atmosfere della Milano di oggi, che ho trovato anche in un disco come “Fuori da qui”, l’ultimo progetto di Jake la Furia. Tu come vedi la tua città?

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Non ho ascoltato questo disco, vivo un po’ nel mio mondo, ma mi fa piacere perché ti posso confermare che a livello umano Jake, è uno dei pochi con cui riesco ad avere un rapporto lontano da tutte queste luci del rap che spesso ci sono. Come lui pochi. Ci siamo frequentati per un lungo periodo ed abbiamo un rapporto fighissimo. Sicuramente abbiamo anche vissuto un certo tipo di Milano nella stessa maniera, entrambi veniamo dai graffiti, gira per strada da solo senza troppe paranoie o compromessi. In questo sicuramente abbiamo un pensiero analogo e non mi stupisce questa cosa.
Milano io l’ho vissuta in modi diversi. Adesso non vivo più in quartiere e probabilmente ne so più di Milano che del quartiere in se in realtà. Milano è Milano e negli ultimi anni è cambiata fortunatamente, è diventata molto di più una città europea, ma comunque vive dei suoi immancabili stereotipi che in certi contesti diventano pallosi per me. Spesso Milano mi sembra un’eterna gavetta, nel senso che se vuoi lavorare in un sistema o in un determinato ambiente devi per forza andare a determinati eventi o serate, leccare il culo a quello lì, farti vedere in qui contesti lì, ecc. Questa cosa qui è stressante dopo che lo hai fatto per una vita.
Ovviamente quando una persona diventa consapevole di chi è e vuole vivere serenamente, si allontana un po’ da queste dinamiche.
Io fortunatamente sono nato a Milano, città che mi ha offerto tante opportunità perché ero vicino a tante realtà che mi interessavano, però sfortunatamente ho sempre vissuto la qualità della vita di Milano.
Milano ancora mi dà stimoli, ma personalmente mi ispira anche un quadro elettrico. Nonostante questo, io viaggio moltissimo, sono da poco tornato da Copenaghen e anche lì ho trovato idee nuove da riportare qui.

Capitolo produzioni e collaborazioni. Con chi hai lavorato al disco?
Il direttore artistico del progetto è Nais, che poi si è avvalso della collaborazione di altre figure. Tra queste c’è Liz Vega, che è una ragazza giovane di Novara e che io in realtà ho visto solo un paio di volte. Poi su tutti c’è Eiemgei, che tra l’altro fa il suo rap, ed è molto bravo, sicuramente un talento dal punto di vista produttivo e devo dire grazie anche a lui per questo mio ritrovato stimolo verso la ricerca al cambiamento. Ci siamo ispirati reciprocamente a livello artistico e quindi mi sono avvicinato a cose che prima non conoscevo, attraverso una ricerca di suoni che abbiamo fatto assieme.
Abbiamo lavorato al Loud Studio da Nais, studio che abbiamo aperto assieme per avere un nostro spazio a disposizione dove lavorare. Tutte le persone presenti sul disco hanno registrato e lavorato lì. È uno studio completo.
La parte del master invece, l’abbiamo delegata ad Antonio Baglio, nostro collaboratore già dai progetti precedenti. Lui lavora molto bene, si è trasferito dall’Italia a Miami proprio per avere la possibilità di lavorare in quel contesto musicale, anche legato all’elettronica. Un nome molto importante del master in Italia e, con lui, ho avuto modo di avere anche un confronto artistico sul lavoro da svolgere. Sono molto soddisfatto della qualità del suono di “Purple Haze”.
Per quanto riguarda i featuring, ce ne sono solo due. La collaborazione con Fred De Palma è nata proprio per un feeling a livello personale, prima ancora di una reciproca stima artistica. Allo stesso tempo, con Panda, la cosa è nata perché bazzica il nostro studio. Non lo conoscevo prima, ma mi è capitato di sentire delle sue cose, secondo me ha un approccio interessante alla musica e, si sente che non lo fa in maniera stereotipata. Va ancora a scuola e ho voluto coinvolgerlo, un po’ per dare la possibilità a chi ancora non lo conosce di arrivare a lui tramite il mio disco, poi perché lo ritengo valido nel voler fare la sua musica.

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​​​​​Qual è il pezzo che hai scritto con più facilità e invece quello più complesso?

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Ti devo dire la verità, in realtà sono stati tutti complessi e semplici allo stesso tempo, perché ho impiegato più tempo a visualizzare il concept dell’intero lavoro. Individuato quello, poi ho dovuto buttare via roba per quanto ho scritto. La difficoltà è stata quella di focalizzare gli argomenti.
A livello di struttura musicale, uno dei più difficili che ho scritto è “Dedicato a te” perché ha delle parti cantate, altre rappate, i drop, aveva altre parti che ho tolto. Era un pezzo importante che andava sviluppato con il giusto compromesso tra testo e musicalità.
Il pezzo che mi sono divertito a scrivere di più, il più semplice, è stato “Classe 85” perché una volta individuate le citazioni che volevo inserire, poi le altre le ho dovute scremare. Anche “Scemo” con Fred è stato divertente perché è il pezzo più semplice, “Inna MI city” è il pezzo più dancehall e poi “Netflix” è divertentissimo, seppur non semplice da interpretare.
In questi pezzi ho detto tutto come lo volevo dire, senza farmi paranoie sul fatto che qualcuno potesse non capire qualche passaggio.

Allora chiudiamo proprio con Netflix. Che serie tv stai seguendo in questo momento?
In realtà io non sono uno da serie tv, nel senso che preferisco ancora guardarmi un film, ma proprio perché il tempo è denaro, a volte quando mi intrippo sulla serie poi me la devo mangiare tutta e, non esco di casa per tre giorni.
Di recente, ma proprio perché non le guardo mai e poi resto indietro su tutto, ho visto “The Get Down” che tra l’altro mi ha ispirato tutto il mood dei graffiti che ho dedicato a “Purple Haze”.
Netflix è una figata perché se ti interessa qualcosa lì lo puoi trovare ad approfondire. Partendo da The Get Down” mi sono visto tutti i documentari dedicati all’Hip Hop anni ’90, compreso quello di “stretch & bobbito”, che consiglio. Si possono trovare altri documentari di questo tipo, tutti correlati partendo da “The Get Down”. È tutta roba interessante perché i ragazzi di oggi, andando a recuperare tutto questo materiale, riescono a capire alcuni meccanismi importanti, invece di sparare minchiate (risate – n.d.r.).
Devo dire che, anche una serie come “Black Mirror”, mi è servita da ispirazione per molte cose del disco. Quella è una serie sulla vita vera che ti fa capire quanto la tecnologia poi allontana le persone a livello umano. Invece oggi, che siamo arrivati quasi all’estremo e manca solo il teletrasporto, si avverte un bisogno fisiologico di un ritorno al contatto umano.

 

Carlo Piantoni

 

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