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Intervista

I Nonverserrorist propongono un progetto Hip Hop a 360°

Nonverserrorist

Fuori dal mese di febbraio 2018 con l’album Destinesia – termine che indica la percezione di essere arrivati in un luogo, senza ricordare bene come o perché si è raggiunto – Nonverserrorist non è solo il nome di un duo, è anche un progetto artistico, culturale e musicale avviato nel 2016 in seguito alle singole esperienze maturate nell’ambiente Hip Hop da Skid e DoubleJay.

Senza troppi preamboli, questa è l’intervista che abbiamo organizzato con loro.

Ciao ragazzi, è un piacere potervi ospitare tra queste righe. Prima di concentrarci sul vostro lavoro, vorrei chiedere ad entrambi qual è il bagaglio musicale che vi ha formati. È stato un percorso autodidatta oppure c’è stato un “maestro” che vi ha accompagnati?

SKID: Grazie per averci ospitati! Per quanto mi riguarda ho scoperto il rap con Jovanotti, credo fosse il 1989. Ascoltavo Gimme Five in radio, lo vedevo in tv, sempre colorato, con le sneakers giganti, e colpiva il mio immaginario di ragazzino di provincia. Non mi interessavano le canzoni, ma tutto il contesto. La cassettina di “Lorenzo 1992” con pezzi come “Benvenuti nella giungla” e “Sai qual è il problema” mi ha fatto appassionare ai testi e alla forza delle parole rappate. Non ho avuto maestri o mentori, ho sempre dovuto e voluto cercare tutto da solo ed ogni piccola scoperta diventava un’ossessione per mesi. Nel corso degli anni ho affinato il gusto e la conoscenza musicale e il mio percorso ha avuto alcune tappe obbligate che, inevitabilmente, hanno condizionato tutti gli ascolti successivi e che sono legate ancora una volta alla qualità eccezionale delle liriche, in particolare “107 elementi” di Neffa (a mio parere il disco italiano perfetto), “Scienza Doppia H” dei Colle e “La Morte dei Miracoli” di Frankie Hi-Nrg. Tuttavia il mio riferimento assoluto ancora oggi è da ricercare negli album “Hard to earn”, “Moment of truth” e The Ownerz” dei Gang Starr. In generale gli ascolti che mi condizionano l’umore sono riconducibili quasi esclusivamente al suono di New York, sia nell’accezione più classica che moderna. I riferimenti formativi sono stati i testi di Rakim e il suo modo matematico di affrontare la scrittura, gli storytelling di Nas, gli insegnamenti didascalici di KRS-One, i viaggi immaginifici e al tempo stesso carichi di street knowledge di Guru.

DOUBLEJAY: Ricordo perfettamente il modo in cui ho scoperto il rap, era il 2004. Ero a Torino dai miei parenti ed un giorno mio cugino mi portò in giro con la sua Panda bordeaux. Stavamo andando ad un concerto dei Marlene Kuntz al Musicomio di Collegno (una piccola frazione di Torino). In quella Panda tutta scassata non c’era lo stereo con il lettore CD  e mio cugino Fabio era uno alla vecchia maniera…solo musicassette!
Aveva 3 dischi in rotazione, erano appena usciti. Si trattava di “Lupo solitario” di Zampa, “mondo marcio” di Mondo Marcio e un album che sarebbe diventato un classico del rap italiano: “60Hz” di un certo DJ Shocca.
Proprio quest’ultimo album è stato per me una pietra angolare per quello che sono diventato. Fu un pozzo da cui attingere per via degli innumerevoli artisti che vennero coinvolti. Di li in poi è stata una ricerca continua e negli anni ho scoperto tutto il rap che non apparteneva all’epoca di cui ero coevo. Da Sanguemisto a Kaos, dalle posse a Lou-x, dal mainstream all’underground.
Purtroppo quel viaggio ebbe una fine e mi ritrovai da solo, ma con un bagaglio un po’ più ricco rispetto prima, ma soprattutto credevo fermamente di aver trovato la mia strada.
Ero consapevole di questo perché ero ritornato nel piccolo paesino della provincia barese che tanto amavo, ma che non aveva nulla di alternativo da offrire ad un ragazzino a parte la “normalità” e la “noia”.
Chiuso nella mia cameretta, ho consumato letteralmente le musicassette che mi lasciò il buon Fabio: parliamo di “Zero Stress”, “60hz”, “950” (versione demo per AL) e qualche disco americano che ancora conservo gelosamente.
Non ho avuto dei maestri per molto tempo ed ho dovuto scoprire tutto da solo nel primo periodo, ma oltre i dischi l’altra guida fondamentale è stato “rapture” condotto da Rido mc dei CDB su “All Music”. Subito dopo ho conosciuto Skid, colui che sarebbe diventato un fratello maggiore ed un punto di riferimento per la mia crescita e per la ricerca di me stesso all’interno della KulturaHipHop.

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Veniamo a Nonverserrorist. Dietro c’è un vero progetto artistico legato all’ambiente Hip Hop. Qual è la vostra concezione di Hip Hop?

SKID: Per quanto mi riguarda è legata al valore assoluto artistico, ma anche sociale di ogni sua espressione. L’importanza della ricerca, dello studio, dell’approfondimento è fondamentale per comprendere che l’apporto dato alle principali forme d’arte della seconda metà del ‘900 è stato determinante, rivoluzionario; ha condizionato il mercato discografico, quello della moda, ha fornito nuovi modelli sociali, letterari, cinematografici. Ognuno di questi aspetti, però, cattura la mia attenzione quando rispecchia i valori di cui la Cultura Hip Hop si fa portavoce. La ricerca del proprio posto nel mondo non deve autorizzare in alcun modo la violenza, ma deve tendere alla crescita collettiva. Attraverso l’arte si possono condizionare il pensiero e le azioni delle nuove generazioni e chi si fa portavoce dell’Hip Hop ha il dovere di non tradirne la buona fede e la responsabilità di trasmettere esempi realmente costruttivi.

DOUBLEJAY : La mia concezione di Hip Hop credo che vada oltre il mero aspetto artistico (che comunque per me resta la base). Quando penso all’Hip Hop non penso solo all’estrinsecarsi di un’ideologia per mezzo dell’arte, ma ad una sorta di “lenitivo” per mente e spirito. Guardando la realtà per quella che è, mi sono arreso all’idea che nel posto in cui vivo le possibilità di entrare a contatto con valori opposti a quelli civili, sono molto alte.
L’Hip Hop mi ha dato la possibilità di sviluppare il mio carattere, creare una mia morale, sostenere le cause dei più deboli, condividere obiettivi e valori. È stato ed è ancora un vademecum, attraverso il quale imparo a vivere ogni giorno.

Questa attitudine Hip Hop si rispecchia anche nel concept sul quale avete sviluppato il disco. Perché per voi è ancora così importante essere consapevoli delle origini di questo suono?

SKID: Credo che un’espressione artistica legata all’Hip Hop debba, per prima cosa, essere autentica, avere riscontro nell’esperienza reale. Per questa ragione, scrivere di ciò che si vive, prendere posizione in maniera consapevole, sfruttare al massimo le potenzialità che la scrittura mette a disposizione, sono l’unica maniera in cui concepisco il rap. Lo studio e la conoscenza di ciò che ci ha preceduti diventa fondamentale nella ricerca del nostro suono, ispirato dai dischi che abbiamo ascoltato, dalle influenze presenti all’interno degli stessi e da tutto ciò che ci trasmette la voglia di creare.
In questo senso, più che di ritorno alle origini, si tratta di continuare sulla stessa strada di sempre. Oggi più che mai sentiamo parlare di evoluzione, anzi, della necessità di evolvere musicalmente l’Hip Hop, di renderlo attuale. Tutto questo ci ha spinto a creare il concept di Destinesia, nel quale chiariamo che non riconosciamo nessuna evoluzione in generi musicali che durano una stagione, non sentiamo la necessità di stravolgere nulla, ma cerchiamo il modo di fare le cose per bene. Sono i riferimenti presenti nei nostri testi a renderci attuali, ma manteniamo “l’intento dichiarato di creare qualcosa che resti eterno”.P1050004

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Il disco è ormai fuori da qualche settimana. Siete soddisfatti del lavoro prodotto? Quali sono stati i primi feedback?

SKID: Ciò che più mi colpisce è constatare che ci sia una grande voglia di rap classico, anche nei ragazzi più giovani, che non hanno vissuto un certo periodo musicale, ma che si entusiasmano ascoltando la nostra musica. Quindi ritornando alla domanda precedente, siamo sicuri che ci sia proprio la necessità di stravolgere e di denigrare ciò che c’è stato, o è semplicemente una maniera per proporre prodotti vendibili su scala sempre più ampia, spacciandoli per freschi e attuali?

Al di là della cura nella costruzione delle produzioni e al lavoro certosino fatto sui testi, mi ha colpito la qualità del cantato in alcuni ritornelli. Ad esempio “Loneliness” è una bomba. DoubleJay raccontami un po’ come hai lavorato?

DOUBLEJAY: Spiegare come nasce un ritornello è davvero difficilissimo, ma ci proverò.
Lapalissianamente parto dalla strumentale e cerco di capire quanto il cantato rientri nelle mie corde… Mai forzare!
Successivamente comincio a canticchiare più linee melodiche per poi scegliere quella più convincente, quella più comoda. Alle volte fondo diverse linee melodiche convincenti.
Individuata la linea melodica cerco di individuarne gli accenti musicali ed è in  quel momento che vincolo la scrittura, questo perché ad ogni accento dovrà corrispondere una sillaba o una lettera di una determinata parola che andrà a comporre il testo del ritornello. Una volta fatto questo scrivere diventa più facile.
A volte canto e basta. È tutta questione di cuore ed istinto. I risultati in entrambi i casi sono soddisfacenti.P1040373

La presenza di DJ Argento impreziosisce il lavoro. Com’è nata la collaborazione con lui e che tipo di confronto avete avuto per la realizzazione dei tre episodi contenuti nell’album?

SKID: Abbiamo coinvolto Argento fin dall’inizio del progetto, quando era ancora un’idea. Ci siamo confrontati sulle tematiche che avremmo affrontato e sugli argomenti alla base del concept. Personalmente ho sempre cercato di rapportarmi con lui, anche nelle esperienze precedenti, per avere la possibilità di crescere anche attraverso i suoi consigli e la sua esperienza. Abbiamo scritto l’album strutturando alcuni brani come se ci fossero già le sue parti, e dopo aver fatto un pre ascolto insieme, abbiamo scelto le tracce sulle quali lavorare. La creatività e la sua cifra stilistica hanno fatto il resto, conferendo il valore aggiunto che ci aspettavamo.

Per “Destinesia” che tipo di ispirazione avete tratto dal contesto in cui vivete?

SKID: Non posso prescindere da ciò che vivo, quando scrivo un testo. Non potrei mai parlare di cose che non conosco o non ho sperimentato; per “Destinesia” ho scavato ancora più a fondo per trovare la forma che rendesse al meglio le sensazioni che provo, dal valore che ha per me la solitudine (Loneliness) alle riflessioni sugli obiettivi che ho nella vita (Destinesia) fino alla presa di coscienza che non sempre le decisioni che maturiamo sono frutto della sola libera scelta, ma viviamo di forti condizionamenti, di cui spesso non vogliamo accorgerci (1984).

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DOUBLEJAY: Non mi presto molto a romanzare un evento o uno stato d’animo quando scrivo. Parlo di cose che mi appartengono e le racconto così come sono, così come le avverto. In “Destinesia” c’è una ricerca interna molto profonda; si parla di solitudine, di obiettivi, di rapporti, di macrosistemi, di tutto ciò che noi vediamo e di come avvertiamo tutto questo. Dunque la realtà non può che essere la fonte di ispirazione primaria di questo album.

Chiaramente per voi, oltre alla musica, c’è anche altro. Raccontatemi un po’ in cosa consiste l’esperienza “I Ain’t No Joke” che avete ideato e portato avanti in questi anni.

SKID: “I Ain’t No Joke” è un’idea nata dalla volontà di portare la Cultura Hip Hop in contesti dove difficilmente potrebbe arrivare, come le librerie, le biblioteche o le Associazioni Culturali,  a causa della concezione offensiva e completamente errata, tipicamente italiana, che sia un passatempo per ragazzini e non abbia nulla da comunicare agli adulti. Si tratta di un ciclo di seminari composto da 5 episodi, che raccontano l’Hip Hop sia contestualizzando gli avvenimenti storici, politici e sociali che ne hanno determinato la nascita e l’evoluzione, che attraverso le esperienze dirette di chi lo vive quotidianamente. Le varie sessioni sono curate da noi e da Giovanni “Giuan” Petruzzelli, grande amico e storica Hip Hop Head di Bari, con gli interventi degli ospiti che ci affiancano e sono rivolte a chiunque sia interessato a conoscere i contenuti che mettiamo a disposizione, anche attraverso gli spunti derivanti da materiale audiovisivo e dai libri che abbiamo esaminato nel corso degli anni. L’aspetto che ritengo più stimolante è da rintracciare nelle discussioni che si creano ad ogni appuntamento, ricche di input e di riflessioni e che coinvolgono spesso diverse generazioni su tematiche comuni.

DOUBLEJAY: Agganciandomi alla risposta di Skid posso dire che “I.A.N.J.” è stato un  modo per far conoscere la Kultura HipHop a chi pensava che fosse “un qualcosa per i ragazzini”, dando dimostrazione che al contrario, è un qualcosa di più profondo che è a disposizione dei giovani, ma che alla base ha valori universali validi per tutti.

Siamo in chiusura. Se vi chiedessi di scegliere un brano a testa che sia per voi manifesto di questo album, quale scegliereste e perché?

SKID: Il brano che secondo me rappresenta totalmente l’album è anche il primo che abbiamo scritto: “We Do It”. Tutto concorre ad esprimere ciò che sentiamo di dovere all’Hip Hop. Non è solo una presa di posizione netta ed inequivocabile, ma è soprattutto un condensato del nostro stile lirico e musicale.

DOUBLEJAY: Sono d’accordo con Skid però sceglierò un altro pezzo molto rappresentativo per me. Il pezzo in questione è “Anthem”. Se “We do it” è il sentimento d’amore che noi proviamo verso l’Hip Hop, “Anthem” è la nostra presa di posizione definitiva di fronte allo scenario attuale. È il pezzo della resistenza.

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