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Intervista

Schiele ci porta dentro i suoi Abissi

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Il 2 novembre è stato pubblicato il secondo album del rapper marchigiano Schiele, dal titolo Abissi, per l’etichetta Glory Hole Records.

Si tratta di un progetto davvero interessante, introspettivo e di invidiabile fattura; un album decisamente conscious che affronta la vita in ogni sua sfaccettatura, senza cadere mai nel banale o nelle frasi fatte. Non si limita, inoltre, ad analizzare la psiche del singolo ma cala lo sguardo anche sulla società circostante, esaminandone pregi e difetti.

Schiele, come l’artista di cui porta il nome, mostra con Abissi tecnica e capacità cui prestare ascolto e in questo caso attenzione, per le sue sincere parole.

Benvenuto su lacasadelrap.com! Abissi è l’analisi del lato più profondo dell’essere umano, di tutte quelle sfaccettature che si nascondono dietro a un sorriso, di tutto ciò che si cerca di tener nascosto. Cosa ti ha spinto, durante il tuo percorso, a portare gli abissi a galla?

Quando creo una canzone, cerco sempre di essere trasparente con me e stesso con gli altri. Tra i vari aspetti che caratterizzano questo disco, quindi, c’è sicuramente la naturale evoluzione del mio approccio verso la musica.
Negli anni ho avuto modo di conoscere per un motivo o per l’altro persone tanto speciali quanto spaventate da ogni tentativo di raccontarsi, forse perché più sensibili di altri, o meno brave a fingere, o entrambe le cose. Questo disco è anche per loro, senza certi incontri non sarebbe nato. Nonostante a molti possa sembrare un album cupo, in Abissi ho cercato di elogiare la vita in tutte le sue forme, esaltando gli aspetti nascosti e i pensieri più belli e più spaventosi che soffochiamo per paura di essere delusi, per delle imposizioni mentali o perché stonano con la maschera che indossiamo tutti i giorni. La musica di oggi è molto edulcorata ed io volevo rompere questa scia uscendo fuori con un lavoro autentico e personale.

Droga e Nietzsche è un’analisi della realtà giovanile a te vicina, ma che non si distanzia dalla realtà sociale di tutt’Italia. Il testo, oltre ad avere una certa importanza contenutistica, mostra una serie di citazioni del filosofo menzionato nel titolo. Vorrei chiederti come è nato questo brano e come si è sviluppato.

La risposta a questa domanda parte dal beat, che è contaminato da un suono che oggi in Italia è di tendenza, la trap. Lavorandoci su, mi sono sentito di parlare di un tema attuale e di scegliere una scrittura e una musicalità figlie di questi giorni. Molti ragazzi della mia età (e non solo) non credono assolutamente in niente, non credono nella politica, nella religione (come biasimarli) ma non credono nemmeno in se stessi, nelle mie proprie ambizioni, nella spiritualità e nei rapporti. Spesso la droga colma il vuoto di tutte queste mancanze e in un quadro così, il nichilismo è tangibile. Oltre a una cinica descrizione di una realtà altrettanto cinica, la scintilla che voglio accendere in chi ascolta questo pezzo è: supponendo che faccia tutto schifo, tu stai facendo qualcosa di meglio? E se in realtà non facesse tutto schifo? Stai dando valore a quello che di bello c’è per te?

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Vorrei mi parlassi dei featuring, come sono nati e come hai scelto chi dovesse o meno partecipare a quest’album.

Abissi è un album dove ho messo molto di mio e non potevo che scegliere persone che sento vicine.
Sono cresciuto con i pezzi di Dj West & Claver Gold, ho iniziato a fare musica cantando in una band post punk e il chitarrista era Vacuo… Negli anni ci siamo molto legati al rap e tra di noi.
Con Tosk abbiamo iniziato insieme a fare le prime rime, a scuola, nei bagni e per anni abbiamo portato avanti un duo rap sotto il nome di “Seconda Frequenza”.
Sph e Drimer li ho conosciuti durante la lavorazione di Abissi e c’è stato un bel feeling, condividiamo un’idea di rap e una voglia di tirare fuori quello che sentiamo che ci accomuna.
Lo stesso discorso vale per Tmhh e Cristiano Pagani, due artisti che seguo dai loro primi progetti ma con il quale non avevo mai avuto occasione di collaborare.
Kuma 19 è stata una sorpresa dell’ultimo minuto ma lo conoscevo musicalmente da anni, con A pezzi ha co-prodotto un beat incredibile. Ogni nome nella tracklist ha la sua storia e il suo perché…

Nella presentazione del tuo album su bucodelrap.it mi ha colpito una frase: “Schiele si rivolge agli outsider, a chi si sentiva fuori luogo nella massa, a chi era roso dal dubbio che il proprio percorso fosse sbagliato, solo perché diverso da quello degli altri”. Questo era il tuo pensiero adolescenziale, ormai l’adolescenza è passata e potresti già riflettere sul tuo percorso. Il percorso è mai stato sbagliato o era quello giusto e tu non te ne sei reso conto? C’è qualcosa di cui ti sei pentito?

Ci sono delle cose di cui mi sono pentito, ma non riguardano il mio percorso musicale o artistico. Non è un caso che io mi rivolga agli outsider ovviamente, è come mi sono sempre sentito ed è come mi sento tutt’ora. Ho pensato molte volte che il mio percorso musicale potesse essere sbagliato perché ero pieno di dubbi, ora sono consapevole del mio potenziale e mi sento sulla strada giusta per me. Avrei voluto avere questa sensazioni molti anni prima ma c’è chi impara subito e chi dopo diversi errori, io sto nel secondo campionato.

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Hai mai pensato a cosa sarebbe stato della tua vita e di conseguenza della tua musica, se non fossi entrato prima in Glory Hole? Avresti mai smesso o, come spesso accade oggi, ti saresti buttato nella composizione di una canzoncina orecchiabile con un contenuto semplice e cercato di sfondare così?

Quando ho iniziato a fare musica i soldi non erano proprio nei miei pensieri. Oggi, superati da poco i vent’anni, cominciano a diventare una priorità ma non li ho mai visti come fine ultimo. Sarò più che contento se riuscirò ad aumentare le mie entrate con quello che scrivo, ma non scriverei mai canzoni solo per soldi. La Glory Hole, in particolare Claver Gold ,Dj West e Gaz, hanno sin da subito creduto in me e questo mi ha dato una grande forza e mi ha aiutato a vedere il mio potenziale; in ogni caso, se non avessi avuto il supporto di due artisti che stimo, non mi sarei rifugiato in una canzoncina solo per monetizzare ne avrei smesso. La passione per la scrittura e per la musica è qualcosa che sento dentro sin da piccolo, fa parte di me.

Il tuo nome d’arte, Schiele, richiama il cognome del pupillo di Gustav Klimt, Egon Schiele, esponente di punta dell’espressionismo austriaco. Una figura particolare: un genio, morto precoce, che ha lasciato circa trecentoquaranta dipinti e duemilaottocento tra acquerelli e disegni.
Che parallelismo possiamo trovare tra il suddetto artista e te?

Be’, di certo se qualcuno entrasse in camera mia dopo la mia morte troverebbe lo stesso numero di bozze, testi, poesie pre-adolescenziali e quant’altro quindi con i numeri ce la giochiamo. Ovviamente scherzo.
Il conflitto che Egon Schiele ha con sé, il gusto per la distorsione delle linee che vediamo in superficie al fine di parlarci delle forme dell’animo, la sessualità che qualcuno ha definito “Erotismo Triste” sono tutti temi e parte della personalità del pittore austriaco che rivedo in me e in ciò che scrivo già da prima di darmi questo nome. Io ho scelto il nome Schiele anche per motivi più banali: da come suona detto in Italiano al fatto che qualcuno al liceo diceva che ci somigliassi. Mia madre inoltre quando ero piccolo dipingeva e questo ha influito sulla scelta del nome e in generale sulla mia passione per i quadri.

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