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Intervista

Hip Hop Highlights con Kento

Kento foto di Gaetano Massa alta

Highlights è una rubrica de lacasadelrap.com in cui l’artista intervistato racconta i momenti fondamentali della propria carriera, ripercorrendoli cronologicamente e trasportando il lettore nel suo percorso artistico fino ad oggi.

L’idea è chiaramente quella di ripercorrere le varie fasi artistiche in esame componendo un vero e proprio racconto, piuttosto che un mero elenco puntato di eventi.

Attraverso questa breve chiacchierata, guidata dalle domande chiave, l’artista ricalcherà i passi fatti durante il proprio percorso, soffermandosi sugli aneddoti che ne hanno costruito il personaggio e la persona, sino ad arrivare ad analizzare la sua posizione attuale nel rap game italiano. Highlights vuole creare un momento di intima connessione tra autore e lettore, coinvolgendo quest’ultimo, nelle pagine della storia dell’artista in maniera inedita e del tutto originale.

Il primo ad aprire il libro dei ricordi è Francesco Carlo aka Kento, il primo rapper di matrice Hip hop a partecipare ad una finale nell’edizione 2016 del Premio Tenco e autore di una rubrica sul quotidiano il Fatto Quotidiano dal titolo Il blog di Kento”.

Parlaci del tuo primo approccio col rap e di come è avvenuto. 

Gli anni ’90 sono stati un periodo magico per tanta gente, me compreso. Il rap, da un lato, aveva un’energia vitale incredibile e, dall’altro, era ancora in buona parte un fenomeno underground, quindi in grado di attirare anche i ragazzini come me, che mai si sarebbero identificati nel mainstream. Il ritmo, la parola, il messaggio, lo stile: c’era tutto quello che mi poteva piacere, e che fortunatamente mi piace ancora oggi. Se dovessi scegliere una canzone sola, per identificare questo periodo, ti direi By The Time I Get To Arizona dei Public Enemy perché è stato il primo video rap che ho visto. Mi ha impressionato molto l’immaginario che riprende i temi classici del Black Power e della lotta antirazzista, e il finale potentissimo con la limousine del politico razzista che viene fatta saltare in aria. Tanto è vero che, molti anni dopo, ho fatto un omaggio a questa canzone nel video della mia H.I.P. H.O.P. (Ho Idee Potenti, Ho Obiettivi Precisi), anche perché – purtroppo – i politici razzisti non sono passati di moda…

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In che momento hai deciso che il rap sarebbe stato il tuo “lavoro”?

Ho sempre lavorato dal lunedì al venerdì, e gestito gli impegni legati al rap nel weekend. Piano piano mi sono reso conto che la mia testa era sempre più coinvolta in quello che succedeva nel fine settimana e lontana negli altri giorni. E poi era difficile da reggere anche fisicamente, perché – per fortuna – il rap stava andando molto bene, ero sempre in giro a suonare e quindi ovviamente non staccavo mai. È stata una scelta ponderata, non facile, anche perché sul lavoro mi ero costruito qualcosa di importante sia dal punto di vista professionale che da quello umano, però adesso sono molto più felice e sicuramente non ho mai guardato indietro. Sicuramente la canzone che mi ha ispirato è stata Changes di 2pac, che parla della necessità di cambiamenti sociali ma anche individuali.

Se dovessi indicare un pezzo che ti ha “cambiato la vita” tra tutti quelli da te pubblicati quale sarebbe? E perché?

Ogni testo nuovo che scrivo cambia la mia vita, non è retorica. Ormai mi posso permettere di dire che so scrivere, potrei continuare a fare quello che faccio, farlo abbastanza bene e non cercare sfide, accontentarmi. Ma devo buttare via questa zavorra. Due dischi con la band, poi niente più band, poi il libro, adesso questo disco che sto scrivendo… è la mia roba migliore di sempre, ma di certo “scontenterà” qualcuno perché ho abbandonato certi territori che non mi incuriosivano o in cui mi sentivo ormai troppo a mio agio. Probabilmente, finora, il pezzo che mi ha più cambiato la vita è stato Stalingrado, ma sono fermamente convinto che il cambiamento più netto sia quello che sta per arrivare.

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Se dovessi immaginare la tua carriera come la scalata di un monte, quale è stato il punto più alto da te raggiunto?

Sicuramente la parte più importante della scalata è rendersi conto che non ha fine. La canzone che mi viene in mente è Odysseus di Guccini: “se tu guardi un monte che hai di faccia senti che ti sospinge a un altro monte, un’isola col mare che l’abbraccia ti chiama a un’altra isola di fronte”. Il bello di questo viaggio è il viaggio stesso, l’impossibilità di fermarsi. Ho conosciuto persone, storie, luoghi. Alcuni li ho dimenticati, altri hanno lasciato in me un’impronta impossibile da cancellare. Spero che continui ancora a lungo, e che le storie più belle siano quelle che mi aspettano.

Quale è il ricordo più stretto, legato al rap, che porti con te?

Mi piace l’aggettivo “stretto” legato a “ricordo”. Quello che sento più stretto è ciò che è più legato alla mia dimensione personale, familiare, quindi mi viene subito in mente quando ai miei concerti capita che ci siano anche i miei genitori. E poi tutto quello che è legato alla mia Calabria, nel bene e nel male. I testi in cui ne racconto l’enorme bellezza, storia e cultura e quelli in cui ne denuncio i mali e i problemi. Se dovessi riassumere tutto questo in una canzone, ti direi RC Confidential.

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La carriera musicale, come anche la vita di tutti giorni, è rappresentabile metaforicamente come un grande palco sul quale dare il meglio di sé. Arriva il punto però in cui le luci del palcoscenico si spengono e tutto il teatro rimane al buio. Hai mai pensato a quel momento, musicalmente parlando?

Facevo rap prima di tutto questo che abbiamo oggi. Prima dei contratti, prima dei concerti, prima delle interviste. Facevo rap quando girare coi vestiti larghi significava mettersi i panni degli alternativi ed essere pronti a fare a botte. Quando chi ti vedeva faceva le corna dicendo “yo yo, Jovanotti”. Facevo rap quando i rapper erano considerati tutti degli scemi, figurati se mi può impressionare ora vedere che siamo considerati tutti dei filosofi o dei geni. Vengo dal niente e sono prontissimo a tornare al niente. Ma, nel frattempo, mi godo questo viaggio fantastico.A cura di Aniello De Stefano e Davide Buda.

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