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Ladies First

Marta “Blumi” Tripodi e la sua dedizione per la musica

Marta Blumi Tripodi

Anche per quest’anno, siamo arrivati all’ultimo mese dell’anno. Il 2019 sarà il quarto anno per la rubrica di Casa Ladies First, ma prima di pensare al futuro restiamo concentrati sul presente. Concludiamo in bellezza il 2018 con un episodio speciale e molto interessante. Era un bel po’ di tempo che aspettavamo l’occasione giusta per coinvolgere la protagonista di questo appuntamento e, come spesso accade, tutto è arrivato all’improvviso.

Con noi c’è Marta “Blumi” Tripodi, figura di riferimento quando si tratta di raccontare la musica rap/urban attraverso interviste, rubriche, reportage e articoli di approfondimento. Classe ’84, Marta è nata nel capoluogo meneghino e da vent’anni racconta il mondo musicale dell’Hip Hop con il suo sguardo attendo ed appassionato. Dal 2007 lavora a Rai Radio2 in qualità di autrice e/o regista di vari programmi, soprattutto a carattere musicale (Babylon, Stay Soul, Radio2 InTheMix, RadioBattle), ma non è tutto! Tra i mille impegni professionali e non, negli anni ha accumulato esperienze e tra le altre cose, dal 2017 è docente di Gestione della Diretta Radiofonica presso il master “Fare Radio” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Collabora con RSI Rete Tre, la rete a vocazione musicale della radio pubblica svizzera, e TRX Radio, la prima emittente urban italiana. Come giornalista scrive per Rolling Stone, Musica Jazz e altre testate, e per Rizzoli e Mondadori ha curato diversi libri musicali, tra cui “Hip Hop Raised me” (di DJ Semtex), “Zero” (di Sfera Ebbasta) e il più recente “Il Rap Anno per Anno” (di Shea Serrano) – leggi la nostra recensione – motivo per cui siamo qui tra queste righe in questo momento. La nostra redazione la stima da sempre soprattutto per la direzione di Hotmc, il più longevo portale sulla musica rap e la cultura Hip Hop in Italia, online ininterrottamente dal 2006 con origini che risalgono al 1998 tra forum community (Hotboards), il motore di ricerca CIRI (Cerca Il Rap Italiano) e le news.

Questa è l’intervista che abbiamo realizzato con Marta “Blumi” Tripodi, check it out!

Benvenuta Marta, il tuo è un nome molto noto nella scena Hip Hop e nell’area degli addetti ai lavori, una delle poche voci autorevoli nell’ambito rap/urban. Com’è nata questa passione?

È nata nel 1998, esattamente vent’anni fa. Come molti altri all’epoca, avevo scoperto il rap già da un po’ grazie ai singoli degli Articolo 31 e dei Sottotono che passavano in radio, ma ho iniziato ad approfondire l’argomento solo a quattordici anni: siccome amavo molto leggere e scrivere, un po’ inconsapevolmente mi ero iscritta a uno dei licei classici più rigorosi, pettinati e perbenisti della città, la classica scuola dove la Milano bene mandava a studiare i figli per trasformarli nella futura classe dirigente. Io venivo da tutt’altro ambiente e mentalità (i miei genitori hanno fatto le scuole serali, tanto per dire) e il rap, così crudo e diretto eppure così pieno di sfumature e poesia, era la colonna sonora perfetta per il mio stato d’animo in quel momento, anche in virtù del fatto che era schifato da quasi tutti i miei compagni e professori. Tramite Aelle, che avevo iniziato a leggere ogni mese, scoprii che a Milano esistevano posti come l’Indian Cafè, dove ogni domenica pomeriggio era possibile trovare decine di ragazzini invasati come me ad ascoltare musica, scambiarsi bozze e mixtape, ballare, fare cypher: capii che l’Hip Hop, e non solo il rap, mi aveva conquistato per sempre. Love of my life, come diceva la canzone di Erykah Badu.

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Come sei riuscita a trasformare la tua passione in una professione?

Quando finalmente mi arrivò Internet a casa (scusate, so che sembra che io stia parlando della preistoria, fate finta che sia un trattato di archeologia) cominciai a esplorarlo partendo da quello che mi interessava di più: l’Hip Hop. Il sito più importante per la scena italiana era Hotmc, che aveva anche un forum con decine di migliaia di iscritti, Hip Hop Hotboards. Qualche tempo dopo conobbi i suoi fondatori, Leep e Penzucci, a una serata Hip Hop che Bassi Maestro e Rido organizzavano a Milano ogni mercoledì, lo Showoff. Per mia fortuna a Hotmc erano sempre alla ricerca di gente che si occupasse di articoli e interviste, così visto che amavo molto scrivere cominciai a collaborare con loro. Fin da subito l’ho presa molto sul serio: per me era un vero e proprio lavoro, anche se andavo ancora a scuola e non ci guadagnavo una lira. L’esperienza mi è servita tantissimo a capire cosa volevo fare da grande e, quando poi  mi sono laureata, ho provato a mandare il curriculum a una trasmissione di Radio2 che amavo molto, dISPENSER, proponendomi come stagista. Mi presero e, contro ogni mia più rosea previsione, dopo qualche mese mi offrirono addirittura un contratto prima da redattrice e poi da autrice. Da lì è iniziato tutto, anche se campare occupandosi prevalentemente di Hip Hop era ancora un miraggio: ai tempi non c’era un vero e proprio mercato, i numeri erano piccolissimi e nessuno riusciva a dedicarsi solo a quello. Anzi, ti sfottevano anche parecchio, se mostravi di crederci troppo.

Nel campo della musica fai davvero tante cose, dalla radio al web, fino ad approdare ultimamente all’editoria. Ci vuole tanto lavoro dietro le quinte e anche tanto tempo a disposizione. Quale delle tante versioni di Marta Blumi preferisci?

Ho la fortuna di fare tante cose bellissime, che adoro: chiedermi di scegliere tra la radio e la scrittura è come chiedermi se voglio più bene a mamma o a papà! Però sì, non è sempre facile. Il tempo non basta mai, e purtroppo i soldi neanche: vivere di musica, che tu stia sul palco o dietro le quinte, in Italia vuol dire essere un eterno precario. Quasi tutti quelli che fanno il mio stesso mestiere fanno tante cose insieme, per necessità prima ancora che per scelta.
Se ambite a una vita tranquilla e al posto fisso, questo non è il lavoro che fa per voi. Sapevatelo.

C’è qualcosa che non hai ancora sperimentato e che invece ti piacerebbe fare?

La sparo grossa: scrivere il romanzo del secolo e vincere il premio Pulitzer! Dubito che succederà mai, ma se bisogna sognare, meglio farlo in grande.

Di recente sei la protagonista di un’impresa non da poco: hai tradotto il volume “Il Rap Anno per Anno”, edito per Mondadori, edizione italiana del capolavoro di Shea Serrano dedicato alle canzoni rap che hanno cambiato la storia, dove hai aggiunto anche del tuo. Com’è andata?

La proposta è arrivata direttamente da Mondadori, con cui avevo già collaborato curando altri libri sul rap. È stato un viaggio lungo e tortuoso, perché lo stile di Shea Serrano è davvero molto particolare e il dover essere alla sua altezza era un’impresa abbastanza da panico. Quando poi mi hanno detto che gli ultimi cinque capitoli, quelli sugli anni più recenti e sul rap italiano, non dovevano essere tradotti ma scritti direttamente da me, ho avuto un mancamento…!
Un po’ lo sento come un lavoro collettivo, perché ho potuto contare sull’aiuto di un sacco di amici, dai rapper agli addetti ai lavori fino ai semplici appassionati, che mi hanno consigliato e consolato quando le cose si facevano più difficili: senza di loro non ce l’avrei fatta, tant’è che alcuni li ringrazio anche nelle pagine del libro.Screenshot 20181202 153742

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Chi meglio di te per affrontare il capitolo giornalismo musicale. Il ruolo del critico musicale negli ultimi 10 anni è cambiato molto: secondo te sta conoscendo un progressivo depauperamento, o continua a pesare la sua influenza sul prodotto discografico? Come vedi questo ruolo nel prossimo futuro?

Discorso lungo, che non riguarda solo la musica. Grazie ai social, oggi, tutti possono essere opinionisti, tant’è che molti media di settore sono nati proprio come pagine social e di giornalistico hanno ben poco. Credo (spero) che il giornalismo musicale possa continuare ad avere un valore e un’importanza, ma solo se il pubblico e gli artisti saranno abbastanza saggi da capire la differenza tra il giornalismo vero, che ha delle regole ben precise e un valore di cronaca e approfondimento, e la semplice comunicazione da influencer o i copia-e-incolla da ufficio stampa. Intendiamoci, non ho assolutamente nulla contro gli influencer o gli uffici stampa: sono mestieri rispettabilissimi, ma diversi da quello che cerco di fare io.

Citando Salmo: “Pensare sia un lavoro, scrivere su Rolling Stone”, tu che ci scrivi in questa realtà che ha dedicato la copertina della rivista proprio al rapper sardo, cosa ne pensi delle costanti critiche dei rapper verso i giornalisti?

Se quello di prima era un discorso lungo, questo è un discorso lunghissimo!
Non entro nella questione specifica perché stimo e rispetto tantissimo sia Salmo che Claudio Biazzetti, che presumibilmente è il giornalista dissato in quella barra. Più in generale (ma non è il caso di Salmo e Biazzetti, sia chiaro) penso che spesso i rapper critichino i giornalisti perché una larga fetta della stampa generalista non capisce niente di rap, non è interessata ad approfondire e si presenta alle interviste con l’intenzione di confermare i propri pregiudizi, o di strappare una dichiarazione scomoda per farci un bel titolo ad effetto. Per non parlare delle recensioni: io non mi sognerei mai di recensire un disco di classic rock perché non ho gli strumenti per farlo, ma spesso ai critici specializzati in classic rock viene chiesto di recensire il rap, un genere che non capiscono e non ascoltano. Quando i rapper italiani si sentiranno più compresi e capiranno di parlare la stessa lingua di chi è lì per intervistarli o recensirli, probabilmente sarà più facile evitare incomprensioni.

Ti portiamo adesso nel cuore della rubrica Ladies First, spazio di approfondimento che noi dedichiamo alle donne in questo ambiente. Tu come fotograferesti l’evoluzione della scena Hip Hop femminile dai primi anni ’90 ai giorni nostri? Quali sono state le principali fasi?

Purtroppo le donne nell’Hip Hop sono ancora troppo poche rispetto agli uomini perché si possa parlare di vere e proprie fasi.
Una cosa che secondo me andrebbe sottolineata, però, è che l’Hip Hop non è assolutamente così sessista come molti vorrebbero far credere, anzi, nella mia esperienza è molto più rispettoso di tanti altri settori. Si può dire che il rap sia democraticamente stronzo con tutto e tutti, volendo. Se un rapper come Eminem, famoso per le sue punchline, massacra chiunque nei suoi testi, perché dovrebbe evitare di prendersela con le donne nelle sue rime? Perché  a differenza dei maschi noi donne siamo fiori delicati, una specie di categoria protetta incapace di reggere il colpo e rispondere a tono? Personalmente secondo me lo scopo della parità di genere non dovrebbe essere farsi trattare come una principessa sul pisello, ma farsi trattare esattamente come un uomo: se questo vuol dire che rischiamo di beccarci qualche insulto sessista in un contest di freestyle, ben venga.
L’essenziale è che una volta droppato il microfono il rispetto sia totale da ambo le parti.

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Alle artiste emergenti italiane che fanno questo genere, cosa ritieni che manchi per riuscire ad imporsi concretamente nel mercato musicale italiano?

Alle ragazze che vogliono farsi strada nel rap, e in generale nel music business, vorrei fare un appello: non pensate a voi stesse come ad artiste donne, ma come ad artiste e basta, con una proposta credibile, forte e musicalmente valida indipendentemente dal sesso. Se volete essere convincenti come rapper, non cedete alla tentazione di avere un ghostwriter, come propongono e hanno proposto a molte, ma portate rime vostre e, se ancora non vi sentite abbastanza brave a scrivere, fatevi il culo finché non sarete davvero competitive e pronte a spaccare tutto e tutti.
Non pensate solo al look o al personaggio, ma siate autentiche. Altrimenti il rischio è di strappare un contratto discografico ma rimanere un accessorio, una bizzarria, un’eccezione.
Di Baby K, con tutto il rispetto per Baby K che oggi comunque è una discreta performer pop, ce n’è già una.Screenshot 20181202 154011

Facendo riferimento al libro che hai curato: quale ritieni sia il singolo e l’artista urban femminile di questo 2018 e perché? Sia in Italia che a livello internazionale…

A gusto personale nel 2018 ho apprezzato tantissimo le inglesi, Little Simz, Ray BLK e Jorja Smith in testa.
In Italia guardo con molta curiosità a Chadia Rodriguez e Beba, anche se la mia preferita resta Leslie. E – mi autodenuncio, ho un conflitto d’interesse perché è una mia cara amica – adoro Martina May, sia come autrice che come performer: era ora che si mettesse a lavorare a un suo disco!

Chiaramente ascolti tantissima musica. Quale sound ti sta coinvolgendo di più ultimamente e quali credi possano essere le tendenze nel 2019?

Sarebbe semplice dire che è la trap la vera rivoluzione del 2018 (che poi, possiamo davvero chiamare rivoluzionaria una cosa che esiste fin dagli anni ’90?), ma secondo me sono stati Anderson.Paak e Childish Gambino a cambiare davvero le carte in tavola e a tracciare la strada che molti seguiranno nel 2019.
Quanto all’Europa, spero che si imponga sempre di più il modello inglese, che in ambito urban negli ultimi vent’anni è stato in grado di creare decine di sottogeneri ed esportarli: grime, UK Garage, dub, two-step… Molte delle cose recenti più interessanti arrivano da oltremanica, perché hanno sempre avuto il coraggio di osare senza preoccuparsi troppo di dove stava andando il resto del mondo.Oltre ai contatti di Hotmc potete seguite Marta su Instagram @tharealblumi e Twitter @whataboutblumi.Per questo appuntamento di fine 2018 è tutto. Carlo Jammai e Cristiana LaFresh vi salutano augurandovi il meglio per il prossimo 2019, come auguriamo il meglio a questa super rubrica.

Stay tuned and see you soon!

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Superstite del forum, qui scrivo ancora con la passione di un utente. Con un focus sul panorama italiano, più che scrivere di rap lo ascolto e lascio spazio ai suoi protagonisti.
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