La manifestazione di tutto quello che il rap è diventato. In senso positivo e negativo, il debutto major di Rich The Kid rappresenta ciò che il mondo del rap, nel 2018, sta diventando ed è la palese dimostrazione che tutto è ancora, per fortuna, in continuo divenire (Trap?). Anche la sua figura, imprenditore e proprietario di una personale label, è calzante.
“The World Is Yours“, malgrado il nome molto d’effetto, è un album che sa più di conferma che di stupore: suona sempre molto molto bene e interessante (molto spesso wave super “felice”). Sulle produzioni ci sono sempre parecchie menti, dato che Interscope Records ha scelto il meglio per lui: le strumentali risultano utilissime a mascherare qualche mancanza nei contenuti e la ripetitività che uno sforna hit come lui è quasi costretto a portare nella sua musica (a proposito, uno dei singoli che anticipava il lavoro, “New Freezer“, ci ha messo poco a diventare platino in US).Si trova del buono nella traccia più dark, “Dead Friend“, che si mormora sia stata ispirata dal litigio con Lil Uzi Vert: “Put my pride to the side, I could never lie/I don’t care if you cry, let them pussy niggas die/Ayy, Bentley matte black, ooh, different kind of fabric/CEO status, all my niggas savage“, trovo sia un giusto compromesso tra passato e presente di genere. Per il resto, è difficile poter dare dei veri giudizi sulla parte lirica: troppe collaborazioni, 11 in totale, che, al mio punto di vista, rovinano un lavoro primo, impedendo di delineare una vera e propria linea al proprio album. Questione commerciale purtroppo.
Per concludere, il giudizio
Ci si poteva aspettare di più? Sì, meno featuring ma più centrati, evitando poco riuscite derive R&B. Poteva andare peggio? Assolutamente sì, il rapper del Queens poteva diventare la barzelletta di se stesso, dato il suo essere così estroso, invece si geolocalizza nella mappa della scena con solidità. Vale sicuramente un ascolto. Poi tocca a voi decidere se ci saranno i due e poi tre.
“The World Is Yours”, anche sulla tomba.
Recensione a cura di Eugenio Ronga