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RewindRecensione

La Penisola Che Non C’è, rewind sul primo album di Fedez

Fedez Penisola Che Non Cover

In questo periodo di quarantena obbligatoria torniamo a tenervi compagnia con una nuova puntata di Rewind, la nostra rubrica – retrospettiva: un tuffo nel passato attraverso il quale potrete riscoprire album, provenienti dal panorama Hip Hop sia italiano che internazionale, che non vogliamo dimenticare. Simile ad una macchina del tempo itinerante, i vari episodi che andranno a comporre la rubrica avranno il compito di riportare alla luce quei dischi seppelliti nei meandri della memoria, belli o brutti che siano, o perché no, farvene scoprire di nuovi.

Oggi è il turno di Penisola che Non C’è di Fedez, che proprio questo mese compie 9 anni. È il suo primo album in studio ed è stato pubblicato il 12 marzo 2011 per Badaboom Edizioni. Da quel primo capitolo della sua carriera Federico ha fatto molta strada, e tantissime cose sono cambiate, non solo vestiti, capelli e tatuaggi… buona lettura!

Strumentali

C’è da dire che sicuramente questo è stato il primo album del rapper milanese, per giunta autoprodotto, e questo gli fa senza dubbio onore. Non si riesce però a trovare qualcosa nel sound che si contraddistingua in modo particolare: a tratti sembra una fusione tra Dogocrazia e un DJ set di Ibiza, senza però quell’elemento che ti fa sgranare gli occhi o saltare sul divano dall’emozione. Nel complesso un po’ piatto.

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Voto: 5/10

Testi 

In tutto l’album è presente una componente di denuncia sociale e politica molto elevata. L’artista è stanco, arrabbiato per la propria generazione che non riesce ad emergere per via di un sistema corrotto, quindi che dire, una buona dose di fotta fa sempre suonare meglio le cose. Proseguendo l’ascolto, però, i testi cadono in una modalità retorica da cui non riesce più ad uscire, e comincia a prendere piede una ripetitività nelle forme che fa in modo che l’album si rivolga ad un target di pubblico adolescenziale, a cui basta sentirsi dire che il mondo è corrotto e che i politici hanno dei gusti di dubbia moralità, senza scendere troppo nei particolari. Il linguaggio utilizzato è piuttosto semplice, senza grandi immagini o metafore, abbastanza scarno.

Voto: 6.5/10

Stile

È impossibile non ricevere forte e chiaro tutta l’avversione verso il mondo che ci si può aspettare da un ragazzo di vent’anni, che osserva ciò che accade attorno a sé e si rende conto di non avere un futuro. L’aspetto migliore di tutto ciò è il fatto che grazie a Dio non esistono solo giovani leve che nei loro pezzi fanno dell’amore perduto il centro dei problemi dell’umanità, come se il cuore spezzato fosse davvero il più grave degli ostacoli che affrontavamo allora e che abbiamo di fronte anche ora che sono passati quasi dieci anni: ci voleva davvero qualcuno che ponesse delle domande ai propri ascoltatori. Il frutto era però ancora acerbo dal punto di vista tecnico, e molto spesso ridondante nelle tematiche proposte.

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Voto: 6.5/10

Voto finale: 6/10

Come già detto prima, per essere un primo album ha in sé tanto entusiasmo e rabbia da tirare fuori. L’elemento della denuncia sociale fece sicuramente onore al Fedez ventenne che scrisse il disco, portandolo ad emblema di una nuova generazione stufa, che non riesce a trovare il proprio posto nel mondo. L’anonimità del sound e la ripetitività nelle tematiche, però, fanno sì che venga penalizzato un po’ in tutti gli ambiti, facendolo risultare all’ascolto piuttosto statico, senza grandi colpi di scena. Con il senno di poi, volendo ripensare alla frase di Ti Vorrei Dire: “consapevole di essere carne fresca per gli squali”, che dire caro Federico, gli squali del sistema che tanto criticavi hanno finito per mangiarti davvero.

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